Lo recita un inno apocrifo a Cristo del II secolo. Insindacabile, le fonti classiche sono autorevoli ma, aggiungo io, la danza è bellezza e armonia: anche quando si scomoda Dioniso.
Solo che per scomodare Dioniso occorre conoscerlo perché non è quell’omone blu.
E la forma più alta della danza greca era l’emmelèia, non il kòrdax!
Chi era Dioniso?
Dioniso era bellissimo e tremendamente vendicativo: sua madre Semele era stata uccisa da un inganno di Era, il feto venne nascosto da Zeus nella sua coscia e da lì nacque, desideroso di vendetta.
Una divinità terribile e priva di equilibrio interiore, il nostro Dioniso, che forse nella cerimonia olimpica non avrebbe dovuto essere evocata perché porta il caos, come in effetti ha fatto se consideriamo la pioggia, l’inquinamento della Senna, l’abbandono del Villaggio Olimpico perché Dioniso è distruzione.
Dioniso rivelava, agli occhi di Euripide, la sua totale insufficienza come divinità: irresistibile forza della passione sessuale ma incontrollabile.
Ravvisare una radice divina in simili forze irrazionali era caratteristico della religione greca fin dai tempi più antichi, ed ancora al tempo di Euripide ogni associazione tendeva ad organizzarsi in un thiasos religioso: la comunità sembrava poter avere consistenza solo se una divinità creava e manteneva in essa uno spirito superindividuale.
In Macedonia Euripide sperimentò la forza di tale spirito: egli assistette in prima persona al diffondersi del nuovo rito, e visse, anche se non da credente, il crescente fanatismo.
Baccanti nasce da questa esperienza.
Si tratta di una divinità inclusiva?
La forza del culto bacchico è ben descritta nelle pagine di Incontro con io, scritto da E. Scalfari:
Ed ancora:
Se l’idea di Jolly era quella di celebrare la potenza di Dioniso, mi chiedo su quale strada ci stiamo avviando e non mi riferisco alla cultura woke ma alla superficialità con la quale vengono affrontate una regia o una coreografia proponendo conoscenze classiche che non ci sono.
Mi offende dunque meno la citazione dell’Ultima cena di Leonardo che la chiamata in causa di Dioniso. Mi sento più offesa come classicista che come cristiana!
Dioniso non rappresenta l’esaltazione dell’ebbrezza ma il dramma della debolezza umana dinanzi all’incomprensibile potenza divina.
La dimensione della follia impregna tutti i personaggi del dramma di Euripide: il coro è pazzo perché è fanatico, Cadmo e Tiresia risultano folli per la loro illusione: “Ildiononfadistinzionesedebbadanzareilgiovaneoilvecchio.”
Penteo è pazzo perché non riconosce Dioniso, il cugino, e sfida una divinità che si configura come un insieme di ordine e caos, civiltà e vita selvaggia, divinità e bestialità.
Agave è pazza perché si lascia possedere dall’ebbrezza.
Le Menadi dunque non sono consapevoli Drag Queen, sono donne che sfidano i valori tradizionali perché scelgono Dioniso rispetto a Penteo, autorità politica.
Le Drag Queen dell’Ultima cena erano invece palesemente guidate da un Goebbels postmodermo e al servizio della propaganda.
Infine, quando Dioniso agisce, Agave soffre e Penteo muore.
E come muore?
Lui, così virile, viene convinto da Dioniso a vestirsi proprio come una donna, una drag queen, per poter raggiungere le Baccanti:
Le raggiunge ma Agave confonde quella parrucca da donna per la criniera di un cucciolo di leone e gli strappa a mani nude la testa dal tronco per offrirla a Dioniso:
Le altre strappano gli arti del malcapitato Penteo e se ne nutrono, è lo sparagmòs! Poi Agave raggiunge, trascinando la testa di Penteo grondante di sangue, suo padre Cadmo che la invita a guardare che cosa?
Il sole.
E Agave, disperata, capisce di aver ucciso il suo stesso figlio.
La rappresentazione di Dioniso può essere estrema, il regista Carlus Padrissa a Siracusa non ha fatto sconti su questo e ha a tratti sconvolto il pubblico, ma deve essere drammatica e non festosa o ridicola: non si ride di Dioniso, non si festeggia con Dioniso.
Dunque se l’intenzione di Jolly era quella di rappresentare Dioniso, divinità non olimpica, tra le divinità olimpiche, come una sorta di dio dell’Inclusione, non ha capito nulla.
Se invece il caro Jolly era consapevole, e io temo che lo fosse e che tale cerimonia sia stata preparata in ogni minimo dettaglio simbolico dal toro vicino ai cerchi olimpici, al viaggio in metropolitana (un viaggio ctonio), a Caronte fino all’Ultima cena, siamo noi a dover tremare perché quella che ci è stata proposta è l’annoiata Capitol City che disseta la sua noia con atleti-tributi sacrificati all’Anticristo che non è Dioniso ma la lobby neoliberista.
E, sarà un caso, quando Euripide rappresenta Baccanti?
Quando Atene ha ormai perso la Guerra del Peloponneso: dopo un’epidemia di peste e dopo uno scontro tra Atene e Sparta che è drammaticamente simile alla situazione attuale se si sostituisce Corcira con l’Ucraina.
Buongiorno cari, oggi vi propongo, nell’ambito della geostoria, la Tunisia. Potete visualizzare la lezione su Edmodo, su Epub editor o qui ma, se il blog è più pratico per usufruire dei link, su Epub editor la lezione è semplificata grazie all’utilizzo dei colori (che qui non restano).
Ti conviene intanto ripassare questa lezione su Roma.
Abbiamo già affrontato l’argomento in classe, dunque considerate questo un ripasso.
Vi ricordate Didone ed Enea? Ne parlammo in relazione ai destini dei Troiani.
All’ epoca vi raccontai la relazione tra Didone ed Enea. Abbiamo visto che, secondo il mito, i rapporti tra Roma e la Tunisia, in particolare con Cartagine,non sono nati sotto una buona stella. Come abbiamo ricordato, secondo gli antichi, causa di tanto strazio fu proprio quella storia d’amore, tra la regina Didone, pia vedova, e il profugo Enea, un “mascalzone” che fuggiva da Troia, città incendiata dai Greci.
Evidentemente la rotta Turchia (ove si trovava Troia)-Tunisia (ove si trovava Cartagine) e Italia (ove si trovava Roma) era già praticata; forse non si attraversava il Sahel, perché l’Africa da cui molti di voi provengono non era conosciuta (hic sunt leones, dicevano i Romani).
Didone era, dicevamo, vedova e regina: una donna con tanto potere, troppo per l’epoca. Aveva capito che, l’unico modo per mantenere il regno, era quello di non sposarsi di nuovo.
Che poi amasse o no il defunto e compianto marito, tale Sicheo, poco ci importa.
Di fatto, quando vede Enea scendere dalla nave, è amore a prima vista.
Enea piaceva a tutte, la scrittrice Christa Wolf pensa che avesse addirittura una relazione con la sacerdotessa Cassandra (le sacerdotesse erano delle bellissime suore dell’epoca, non potevano avere fidanzati).
ATTENZIONE: sto usando il congiuntivo perché esprimo OPINIONI, non certezze.
Anche Enea rimane turbato da Didone: si guardano, si cercano, restano soli, scoppia un temporale, c’è una grotta e…lo fanno! “Lo fanno”, sapete meglio di me che cosa intendo.
Ma poi arriva Venere, dea della bellezza e madre di Enea, la suocera che nessuna donna vorrebbe mai avere.
Ed Enea ascolta la madre, non Didone. Parte perché il destino ha in serbo grandi cose per lui ma Didone, abbandonata, si uccide.
Molti anni dopo i nodi tornano al pettine: i discendenti di Enea, in particolare Romolo, ha già fondato Roma da tempo.
Tra i discendenti di Enea e i discendenti di Didone scoppiano le famose guerre puniche.
Se avete guardato il video che vi ho proposto e che ho scelto perché la docente Lorena è molto brava e chiara, ora potete leggere una delle pagine più toccanti della storia.
Vi ho già presentato Tucidide, Plinio il Giovane, Tacito e adesso ecco Polibio. Lo leggiamo perché scrive bene e perché voi dovete imparare a scrivere e a riconoscere la grammatica italiana (in realtà lui scriveva in greco, questa è una traduzione!).
In questo dialogo i protagonisti sono Annibale Barca, generale cartaginese, e Scipione l’Africano che era un generale romano detto Africano per le sue imprese in Africa.
Polibio. Per la lettura semplificata e colorata vai qui.
L’indomani entrambi i comandanti uscirono dal loro accampamento con un gruppo di soldati; quindi, lasciati anche questi (guarda: il participio passato da solo!! Senza ausiliare!)si incontrarono a mezza strada, ciascuno con un interprete. Annibale, porgendo (mentre porge, porgere>dare) per primo la destra a Scipione, iniziò a parlare dicendo (e dice)che la cosa migliore sarebbe stata (condizionale passato che indica l’ impossibilità di tornare indietro, è UN PERIODO IPOTETICO) che i Romani non avessero mai aspirato (congiuntivo trapassato) ai territori fuori d’Italia, né i Cartaginesi a quelli fuori dell’Africa: i domini di entrambi sarebbero infatti stati ad ogni modo abbastanza vasti e circoscritti dalla natura stessa. «Ma poiché invece venimmo a contesa prima per il possesso della Sicilia, poi per quello della Spagna e infine, non sufficientemente provati dalla fortuna, siamo arrivati a tal punto che voi in passato e noi proprio ora corriamo pericolo per la salvezza stessa della patria, per salvarci dobbiamo smettere di combattere. Io sono pronto, perché ho imparato per esperienza personale come la fortuna sia mutevole e favorisca ora l’uno ora l’altro, trattando gli uomini come bambini. Temo però che tu (è un periodo lungo e rischi di perderti, segui le parole in verde), o Scipione, sia perché sei ancora troppo giovane, sia perché ogni cosa ti è andata secondo i tuoi piani, tanto in Spagna quanto in Africa, e non hai ancora subito alcun rovescio della fortuna, non ti lascerai convincere dalle mie parole, per quanto degno di fede. Considera (2 persona modo imperativo)pertanto, in base a quanto io ora ti dirò, quale sia il corso delle vicende umane: non ricorrerò a esempi del passato ma a fatti dei nostri giorni; ora mi trovo in Africa, ridotto a trattare con te che sei Romano, della salvezza mia e dei Cartaginesi. Ti esorto dunque a considerare tutto questo e a non insuperbire, ma a provvedere da uomo nelle presenti circostanze: cioè a scegliere sempre fra i beni il maggiore, fra i mali il minore. Chi, essendo avveduto, vorrebbe affrontare un pericolo quale quello che ora ti sovrasta? Se sarai vincitore in questa battaglia non potrai accrescere di molto la tua fama, né quella della tua patria; se sarai vinto distruggerai il frutto di tutte le tue nobili e splendide imprese compiute. >> Scipione rispose: «Come tu, o Annibale, sai benissimo, non furono i Romani a dar inizio alla guerra per la Sicilia e la Spagna ma i Cartaginesi! Anche gli dèi lo attestano, avendo concesso la vittoria non a coloro che hanno dato inizio alle ostilità, ma a chi ha combattuto per difendersi. Io considero più di ogni altro il mutare della fortuna e tengo conto per quanto è possibile della condizione umana. Se prima che i Romani passassero (congiuntivo imperfetto PROTASI PERIODO IPOTETICO)in Africa tu ti fossi spontaneamente allontanato (PROTASI PERIODO IPOTETICO) dall’Italia avendo offerto queste condizioni di pace, le tue richieste sarebbero state senz’altro soddisfatte!(APODOSI PERIODO IPOTETICO ).Ma tu te ne sei andato dall’Italia contro tua volontà, mentre noi, passati in Africa, siamo vincitori sul campo (cioè, le cose sono davvero mutate!).
Soprattutto poi eravamo già scesi (e NON eravamo scesi già/già eravamo scesi)a patti: i tuoi concittadini ce ne (ci avevano supplicati di questi)avevano supplicati dopo essere stati sconfitti e noi avanzammo proposte nelle quali(pronome relativo declinabile), oltre a ciò (pronome dimostrativo) che tu offri ora, era scritto che i Cartaginesi restituissero i prigionieri senza riscatto, rinunciassero alle navi da guerra, pagassero cinquemila talenti d’indennizzo e consegnassero (il congiuntivo in questo caso riporta una sorta di discorso indiretto)degli ostaggi a garanzia dei patti. Dopo aver stipulato questi accordi, inviammo ambasciatori al Senato e al popolo, noi per dichiarare il nostro assenso alle condizioni siglate, i Cartaginesi per implorare che esse fossero ratificate. Il Senato acconsentì, il popolo accettò le condizioni; i Cartaginesi dopo aver ottenuto (può diventare un gerundio?)quanto avevano richiesto, violarono i patti e ci tradirono. Che cosa ci resta da fare? Mettiti nei miei panni e parla: dobbiamo togliere le più gravi condizioni imposte, affinché i Cartaginesi, premiati per la loro empietà, insegnino ai posteri a tradire sempre i benefattori o, avendo conseguito quanto ci chiedono, ce ne siano grati? Avendo ottenuto attraverso le suppliche ciò che domandavano, non appena poterono contare un poco su di te, subito ci hanno trattati da nemici. Stando così le cose, potremmo proporre al popolo una nuova tregua se aggiungeremo alle precedenti qualche clausola aggravante, ma se dobbiamo rendere più lievi i patti già stabiliti, non è neppure il caso di avanzar proposte. Dove voglio arrivare dunque? Dovete consegnarci a discrezione voi stessi e la vostra città, oppure dovrete vincerci sul campo!».
In questo brano ho evidenziato diverse parole, osservale bene per svolgere correttamente gli esercizi.
In un political show i due avversari avrebbero la possibilità di esporre così chiaramente le proprie idee o litigherebbero?
Ora vediamo da vicino la Tunisia: guarda qui la Tunisia.
La Tunisia si trova nel Maghreb. Il suo territorio si estende per circa 2/3 al di sotto dei 400 m s.l.m. anche se a nord vi sono alcuni rilievi che appartengono alla catena dell’Atlante.
A est e a sud i rilievi dell’Atlante si abbassano e formano quella regione collinare denominata Sahel .
A sud c’è un’ampia depressione occupata da bacini lacustri salmastri, i chot.
La costa settentrionale è compatta quindi non ci sono porti.
A est c’è la profonda insenatura del Golfo di Tunisi .
La costa orientale si sviluppa da nord a sud, davanti a questa ci sono piccole isole: Gerba e le isole dell’arcipelago Kerkenna.
Il clima della Tunisia settentrionale e centrale è subtropicale, di tipo mediterraneo: l’estate è calda e asciutta, l’inverno è mite fuorché nelle aree più elevate dell’Atlante; le precipitazioni, in prevalenza autunnoinvernali, non sono abbondanti, con forti differenze da un anno all’altro.
A sud il clima è tropicale, con temperature più elevate, soprattutto d’inverno, e piovosità scarsa e irregolare, fino a divenire, nell’estremità meridionale, un vero e proprio clima desertico, con precipitazioni pressoché nulle.
Una vera rete idrografica (fiumi e laghi) esiste solo nella Tunisia settentrionale perché lì ci piove. L’unico fiume importante è la Medjerda, che ha origine in Algeria .
Vi sono poi alcuni laghi costieri della costa settentrionale, e soprattutto gli stagni salmastri, di cui il maggiore è il Gerid.
La vegetazione non è abbondante e verso l’interno sfuma nella steppa e nel deserto.
Nel Tell settentrionale vi sono querce e alberi da sughero (in Italia li abbiamo solo in Sardegna).
Sulla costa sono comuni la palma nana e il lentisco.
La fauna tunisina è quella tipica nordafricana.
Per quanto riguarda la speranza di vita, alla nascita è di 75,7 anni, questo dato è misurato dall’ONU attraverso gli indicatori del reddito, della salute e dell’istruzione per cui la Tunisia si colloca al 95° posto della classifica mondiale (2008).
La situazione della donna è pessima: in base a un altro indice dell’ONU, quello relativo alla condizione femminile (GDI), la Tunisia si piazza al 122° posto peròla Tunisia, tra i paesi arabi, è quello che maggiormente ha investito risorse nella promozione dello status sociale delle donne, fin dagli anni 1950. Tra l’altro, è stato il primo paese arabo che ha messo fuorilegge la poligamia.
La Tunisia è una repubblica presidenziale.
Le città principali sono Tunisi, che è la capitale, Sfax, Nabeul , Ben Arous, Monastir e Sousse.
Perché riprendere un vecchio studio su Baccanti? Mi direte che, sicuramente c’è un fine politico. Why not? La cultura è di per sé politica, non bisogna dimenticarlo in questo periodo di barbarie ed Euripide ha sempre qualcosa da dire.
Ma non è solo questo, è più un bisogno di guardare il bello e il tremendo che, talvolta, coincidono.
Non mi basterà un articolo, questo è il punto di partenza che potrebbe servire a qualche curioso, a qualche maturando.
MANIA E MENADI
Diodoro scrive che in molti stati greci alcune congregazioni di donne si riunivano ad anni alterni: erano le menadi. In quelle occasioni le fanciulle nubili potevano portare il tirso e partecipare all’invasamento delle donne più anziane.
Tali feste erano dette trieteridee perché avevano una scadenza biennale; si tenevano a Tebe, Opunte, Melo,Pergamo e persino a Creta . Esse contemplavano nel rituale orge femminili oreibasìe, cioè danze notturne sui monti a metà dell’inverno. Il motivo di queste manifestazioni risulta incomprensibile per la razionalità umana: molte popolazioni ballano per far crescere le messi ma le loro danze si svolgono di giorno, non di notte, e di primavera, non d’inverno . I tardi autori greci ritenevano che queste danze avessero un carattere commemorativo: le donne avrebbero imitato le menadi che accompagnavano il dio nei tempi antichi. Tuttavia, siccome prima della commemorazione ci vuole l’azione effettiva, deve esservi stato un tempo in cui le menadi assumevano realmente per poche ore del giorno, le caratteristiche implicite nel loro nome.
Manìa significa infatti follia, alterazione di coscienza. La natura di quest’evento non è affatto chiara nel caso della Grecia; se si osservano anche altre civiltà, ci si accorge dell’esistenza di persone che trovano nella danza rituale un’esperienza religiosa più soddisfacente e convincente di qualsiasi altra .
Esiste, al riguardo, anche un detto musulmano “Chi conosce la potenza della danza dimora in Dio” che conferma la funzione rituale dell’esercizio muscolare.
INSOLENZA E FUOCO
L’insolenza delle Baccanti divampa come un fuoco, questa è una vergogna di fronte ai Greci
Baccanti v.779 La danza è dunque contagiosa, si balla fino a cadere per esaurimento.
Utile, per capirne la potenza è l’analisi della parodos delle Baccanti:
Beata la Baccante quando cade a terra sui monti, perché danza sfrenatamente dal tiaso , indossano la pelle di una cerbiatta sacra, mentre è in caccia del sangue del capro da uccidere, delizia del pasto crudo, e si lancia su per i monti di Frigia, di Lidia, perché Bromio intona il canto: evoè.
I versi, non facili, danno notizie su alcuni aspetti del culto menadico: edùs è l’aggettivo apre l’ultima parte della parodos con una suggestione di polisemie: il baccante può essere bello, dolce, felice.
Il termine può inoltre riferirsi a quattro soggetti: il baccante, la menade, il sacerdote o addirittura il dio. Pese pedose: l’espressione indica il compimento dell’estasi che si realizza nell’uscire fuori di sé e nel lasciarsi cadere a terra; vi è poi una serie di parole che indica i capri uccisi:la carne divorata cruda è tipica del culto dionisiaco. La tecnica espressiva di Euripide raggiunge qui uno dei momenti di massima tensione interpretativa: le parole chiave sono sottolineate ed esaltate dalla collocazione nel verso e nell’andamento musicale lirico .
I MOTIVI La parodos riprende in chiave di preghiera i motivi del prologo, ma li sviluppa secondo due linee prevalenti: una rituale, l’altra mitica.
La prima illustra la conseguenza della beatitudine per chi ha imparato a vivere fino in fondo i riti del dio. Questa linea si conclude con l’epodo in cui è illustrato il rituale dionisiaco; la seconda recupera la profondità storica del mito: Frigia e Creta, Cibele e Rea,Coribanti e Cureti costituiscono le tre coppie di un mito che si dilata nello spazio e si precisa nella liturgia. L’epodo è la sezione più ispirata sul piano stilistico: il deinon della religione dionisiaca nella sua forza di creazione e distruzione, di vita e morte, di ordine e caos, attraverso il movimento, la danza, la particolare musica che sconvolge per il rumore e affascina con la melodia.
LA FORZA ESPRESSIVA Potenti sono le suggestioni visive e uditive, degne di una ripresa cinematografica: si passa dai monti ai dettagli, il tirso, il grido, la chioma gettata all’indietro in un selvaggio gesto di liberazione. Alla resa stilistica erano correlate in larga misura la danza e la musica. Le danze menadiche, di chiara derivazione asiatica, sono del tutto differenti dalla sobria gestualità classica: eseguite per la maggior parte da donne, esse richiamano gli antichi riti della fertilità; nel caso delle Baccanti, queste danze, dovettero raggiungere un certo livello di provocazione agli occhi del pubblico.
LA DANZA
Gli slanci, i salti, i tour erano già presenti in altre tragedie di Euripide, ma Cassandra nelle Troiane eseguiva il suo folle imeneo per evidenziare una follia individuale. In Baccanti, o meglio, nel rito menadico, il danzatore annienta qualsiasi elemento personale per fondersi fluidamente con gli altri iniziati . Elemento innovativo è la musica: dai vv. 120-134 si deduce la presenza di timpani e flauti:
Rifugio dei Cureti e grotte divine di Creta che deste i natali a Zeus, dove i Coribanti dall’elmo tricuspide crearono da una pelle per me il tondo strumento che io porto. Vi è dunque un antro segreto; il termine, di derivazione poetica, ha la stessa radice della parola talamo, per cui suggerisce un luogo consacrato al connubio con il dio. Ai vv. 126-129 continua la descrizione:
E nell’ebbrezza del rito mescolarono al melodioso respiro del flauto di Frigia e lo posero in mano alla madre Rea, perché con ritmico colpo accompagnasse il canto. Si tratta dunque, anche per quanto riguarda la musica, della fusione del rituale frigio con quello cretese, avvenuto in seguito all’identificazione di Rea con Cibele. Il flauto frigio era simile al moderno oboe e non al piffero .
IL FLAUTO
L’origine dell’aulos si perde nei secoli, e si attribuisce al leggendario Pan. Vi erano diverse categorie di auloi: quelle corrispondenti al flauto diritto e al flauto traverso vennero denominati siringes, quelli ad ancia mantennero il nome di auloi. Questi ultimi potevano avere l’imboccatura singola o doppia. L’invenzione dello strumento è attribuita al musico frigio Olimpo (750-700a.C.). Nelle Baccanti assumono rilievo due oggetti di scena: il tirso, strumento di prodigiosa fecondità e distruzione, e il timpano, simbolo di festa ma anche di trasgressione e violenza sacrificale. La poetica dell’oggetto trova riscontro in diversi momenti del teatro di Euripide. Se, infatti, nel suo teatro il mondo diventa irriconoscibile perché i segni cambiano valenza, c’è lo sforzo di attaccarsi alle cose concrete individuate con oggettività. L’oggetto-feticcio è una presenza emblematica che non solo è destinata ad incidersi nella mente dello spettatore, ma attorno alla quale si condensa una ambivalenza simbolica. La parodos delle Baccanti mostra l’isterismo domato e posto al servizio della religione, ciò che invece avveniva sul Citerone era isterismo allo stato puro, il pericoloso bacchismo che scende come un castigo sulle persone oneste e rispettabili e le trascina contro la loro volontà.
La punizione sta nel crollo improvviso della civiltà sommersa da forze ancestrali. Dioniso è presente in entrambi i tipi di isterismo, egli è al tempo stesso causa e liberatore della pazzia. Si ravvisano alcune somiglianze fra la religione orgiastica delle Baccanti e la religione orgiastica di altri paesi, che dimostrano che la figura della menade è reale. La prima somiglianza riguarda i flauti e i timpani descritti nella tragedia e raffigurati nelle pitture vascolari greche: gli strumenti, ritenuti orgiastici per eccellenza, erano usati anche per i contemporanei culti asiatici.
Il secondo punto riguarda il portamento della testa durante l’estasi: il gesto è presente in ben tre punti di Baccanti (vv. 150,241,930); lo si ritrova in Cassandra scuote la testa nell’ Ifigenia inAulide (v.758) e lo stesso fa Lisistrata nell’omonima commedia ( v.1312). L’atto non è una convenzione puramente greca, lo si ritrova anche nella danza sacra dei divoratori di capre del Marocco .
La descrizione del menadismo non può spiegarsi solo in termini di pura immaginazione, ma deve essere spiegata in termini di realtà sociale .
Di fatto, già dall’epoca classica, si desume che l’incontro con culture altre spaventa.
Una Medea legata che danza Stravinsky, così- nel mese della dedicato alla donna- si aprirà il laboratorio La magia di Medea proposto da LIBRIDA. Attraverso una piccola performance visionaria e immediata, la conduttrice pone l’accento su due concetti cardine: l’essere donna e l’essere straniera. Tema, questo, affrontato già in Fedra e lafragilità lo scorso 25 febbraio.
Nel caso di Medea però le tinte sono molto più forti e il colore lo sceglie Euripide che, nel 431 a.C., con questa donna così sofoclea, mise a disagio i giudici. Alessandra Giordano allora setaccia e reinterpreta il mito: eternamente sospesa tra la cultura classica e la realtà della periferia più estrema, si trova a rappresentare una Medea in carcere, poco importa se sia colpevole o innocente. Il mito del resto non è generoso e ricorda questa donna per atti atroci: le si imputa l’uccisione del fratello Apsirto, la si cita come assassina dei figli; impossibile allora non pensare a quella Jessica e a quella Annamaria che hanno dipinto di rosso le cronache di vent’anni fa: delitti ancora poco chiari come poco chiara è la storia di questo personaggio.
Medea aiuta Giasone a prendere il vello d’oro, come la cugina Arianna aiuta Teseo a uccidere il Minotauro.
Entrambe tradiscono il padre, entrambe si offrono a stranieri che poi le ripudiano.
In particolare Medea, come la zia Circe, prima di essere ammaliatrice è vittima d’amore: Giasone si serve di Medea ma non la ama, le riserva le attenzioni che si danno a una πολλακη, non a una moglie.
La ragion di stato è padrona dell’eroe greco -colpevole di omicidio quanto lei- che, smaltiti i giovanil furori, deve mettere la testa a posto: il re di Corinto (il solito Creonte) offre a Giasone sua figlia Creuza e l’eroe non rifiuta l’offerta.
Medea non lo può accettare, non si fa da parte come avviene nel caso di Ermengarda quando Carlo Magno la ripudia.
Non si fa da parte perché non è addomesticata, è viva:
Quando una DONNA viene offesa nel suo letto, non c’è altra mente che sia più sanguinaria.
Medea, Euripide
Questi versi sono interessanti in quanto inaccettabili per la morale, ma se Euripide avesse scritto:
quando un UOMO viene offeso nel suo letto, non c’è altra mente che sia più sanguinaria
nessuno si sarebbe scandalizzato: né gli antichi Greci né noi, ormai assuefatti a infanticidi compiuti per vendetta.
Per un Giasone infanticida ci sarebbero stati due articoletti di cronaca nera (si pensi a Eracle), per Medea circa duemilaquattrocento anni di discussione: è innaturale che una donna uccida i figli, non è innaturale che li uccida un uomo.
Il punto però è un altro: se Medea non avesse ucciso i suoi figli?
Sostiene questa tesi la tedesca Christa Wolf che va a ficcare il naso nel mito pre-euripideo.
La Medea di Christa Wolf è vittima di un complotto: privata dei figli, è accusata di averli uccisi.
Medea, prima della tragedia di Euripide, incarnava il dramma di una donna STRANIERA che non poteva essere accettata dalla civiltà di Corinto; consapevole dell’odio che i Corinzi provano verso di lei, Medea si rifugia con i figli presso il tempio di Era.
Non basta: i Corinzi arrivano a lapidare i figli di Medea in luogo sacro e questi muoiono.
E’ curioso come la Wolf non sia l’unica a recuperare l’antico mito di Medea; prima di lei lo fa Corrado Alvaro, scrittore calabrese antifascista.
La Medea di Alvaro si circonda di Amazzoni ma non è un’ Amazzone, è una donna innamorata. Creonte appare finto, robotico e spiega con voce affilata e tagliente le ragioni del suo ripudio:
Il popolo mormora, la gente vuol star tranquilla! E più s’aprono le vie del mondo, più la gente si chiude.
Giasone metta almeno al riparo i miei figli.
No, non c’è asilo per i figli di Medea nel mio regno, il popolo mormora: la loro presenza è impura.
La lunga notte di Medea, C.Alvaro
Per i figli questo significa esilio, perdita di diritti, morte certa.
Il fatto che Corrado Alvaro scrivesse queste cose nel 1949 fa rabbrividire: l’autore immaginava che l’Italia si sarebbe nuovamente affidata a una destra xenofoba?
Non lo sappiamo, sappiamo solo che gli artisti anticipano, con le loro opere, il futuro.
Lo spazio concesso dalla saletta, che ora ospita una collettiva sulla donna, è piuttosto intimo; è gradita la prenotazione su info@librida.it
Rosa Johanna Pintus
Se ti è servito questo articolo, commenta e condividi.
Se gli antichi Romani andassero alle urne il 4 marzo, non potendo scegliere tra optimates e populares, Catone il Censore voterebbe la Lega censurando ogni spinta europeista (già criticò l’ellenizzazione dirompente e la cultura)
I due Gracchi voterebbero per Liberi e Uguali mentre Mario, con l’appoggio dei Metelli, voterebbe forse la Meloni convinto che sia Roma a dover entrare in Africa e non viceversa.
Esiste una pubblicazione poco pubblicizzata ma intensa del mito di Ippolito; si tratta del racconto “Oltre la Voce” di Alessandra Giordano, autrice e regista teatrale a livello amatoriale. Il testo rielabora la vicenda descritta da Euripide e lo collega a un altro mito tragico dell’antichità, quello di Medea.