Padre Cristoforo e Don Rodrigo

Prima di leggere il colloquio tra Padre Cristoforo e Don Rodrigo, vorrei che prestaste attenzione alla grammatica.

DUE REGOLETTE DI GRAMMATICA

Prima di leggere il testo, presta attenzione ai colori:

i colori non li vedete su questo testo ma sull’epub che potete aprire dal link.

Il rosso indica le parole che forse non conosci (lessico);

il giallo indica un verbo: di che modo si tratta ? Ve lo chiedo negli esercizi!

Cosa e come, in azzurro, sono due parole invariabili che si usano per introdurre la domanda.

Ora vi mostro in che modo si usano.

Quando andavo a scuola io, non si poteva utilizzare la parola “cosa” (thing/chose) per introdurre una domanda.

Cosa, nel significato thing/chose, è un nome femminile e variabile: la cosa/le cose.

Ma utilizzata in una domanda significa semplicemente What/Quoi.

Ai miei tempi (a long time ago!) occorreva scrivere sempre CHE COSA per introdurre la domanda.

Che cosa è diverso dalla parola “cosa”:

Che cosa fai?

Che cosa vuoi?

Che cosa è un pronome interrogativo e ha quattro fratellini: chi, che, quale, quanto.

Se questi pronomi sono seguiti dal punto di domanda, sono pronomi interrogativi;

se questi pronomi sono seguiti dal punto esclamativo, sono pronomi esclamativi.

Guarda gli esempi:

Che fai? >pronome interrogativo.

Che stress!> pronome esclamativo.

Quanti anni hai?>pronome interrogativo.

Quanta fame!>pronome esclamativo.

Oggi nessun professore segnerebbe errore l’utilizzo di cosa senza il che, lo potete fare.

Che cosa vuoi?> formale.

Cosa vuoi?> non formale ma colloquiale.

Posso anche dire:

che vuoi?>diretto nella lingua parlata.

La parola COME è più difficile, come può essere:

  • un avverbio interrogativo;
  • un avverbio esclamativo;
  • una congiunzione!

Esempi:

Come stai?>avverbio interrogativo;

Come mi mancate!>avverbio esclamativo;

Dimmi come stai>congiunzione subordinante;

Ti parlo come farei con mio figlio= nel modo in cui farei con mio figlio>congiunzione modale;

Come finisce il Coronavirus, facciamo una grande festa.>congiunzione temporale, in questo caso significa quando.

Esercizio

Padre Cristoforo, il confessore di Lucia, ascolta le ultime tristi vicende di cui la ragazza è stata vittima.

Che Don Rodrigo arrivasse fino a quel punto non se lo aspettava neppure lui.

Cosa fare?

Come aiutare i tre sventurati che gli chiedevano aiuto?

Come calmare Renzo, pronto ad affrontare il terribile Don Rodrigo?

Padre Cristoforo non è come Don Abbondio, ha un carattere completamente diverso:

Don Abbondio è un vigliacco, Padre Cristoforo è un coraggioso.

Qui state attenti ai nomi alterati!

Il palazzotto di Don Rodrigo si trovava in cima a un colle e dominava tutto il villaggio. Le casupole dei contadini che lavoravano per Don Rodrigo erano in basso, vicino al lago.

I personaggi che si incontravano vicino al palazzotto, erano dei brutti ceffi, degli omacci sempre pronti a litigare.

Don Rodrigo stava mangiando nel suo salone, con lui c’erano gli uomini più conosciuti di quel villaggio: mangiavano, bevevano, ridevano e prendevano un po’ in giro il padre Cristoforo, invitandolo a mangiare e bere con lui.

Finalmente Don Rodrigo accetta di parlare con Padre Cristoforo.

Ora vi scrivo che cosa si sono detti!

“Che cosa posso fare per lei?„ disse don Rodrigo, piantandosi in piedi nel mezzo della sala. Il suono delle parole era tale; ma il modo con cui erano proferite (dette),voleva dire chiaramente: bada a chi stai davanti, pesa le tue parole, e sbrigati.

Per far coraggio a padre Cristoforo non v’era mezzo più sicuro e più spedito che apostrofarlo con piglio arrogante (parlare con lui in modo poco rispettoso).

“Vengo a proporle un atto di giustizia, a supplicarla (pregarla)d’una carità. Certi uomini di mal affare hanno usato il suo nome per far paura ad un povero prete e lo hanno convinto a non celebrare (fare)il matrimonio di due innocenti. Lei, Don Rodrigo, può con una parola rimettere tutto nell’ordine, e sollevare quelli a cui è fatto così gran torto. Lo può; e potendolo ….. la coscienza, l’onore ….. „

“Ella mi parlerà della mia coscienza, quand’io crederò di chiedergliene consiglio. Quanto al mio onore ella ha da sapere che il custode ne sono io, ed io solo; e che chiunque ardisce ingerirsi a divider con me questa cura, io lo riguardo come il temerario che l’offende.„

“Se ho detto cosa che le dispiaccia(cosa che non le fa piacere),certo, ciò è accaduto contra ogni mia intenzione. Mi corregga pure, mi riprenda se non so parlare come si conviene; ma si degni ascoltarmi. Per amor del cielo, per quel Dio al cui cospetto(davanti a cui) tutti dobbiamo comparire …..„

“Non si ostini a negare una giustizia così facile, e così dovuta a dei poverelli. Pensi che Dio ha gli occhi sempre sopra di loro, e che le loro imprecazioni (preghiere che chiedono giustizia)sono ascoltate lassù. L’innocenza è potente al suo …..„

“Eh padre!„ interruppe bruscamente (in modo violento) don Rodrigo: “il rispetto che io porto al suo abito è grande: ma se qualche cosa potesse farmelo dimenticare, sarebbe il vederlo indosso ad uno che ardisse di venire a farmi la spia in casa.„

Questa parola fece salire una fiamma sulle guance del frate: ma col sembiante di chi inghiotte un’amarissima medicina, egli riprese:

Mi ascolti, signor don Rodrigo; e faccia il cielo, che non venga un giorno in cui si penta di non avermi ascoltato. Non voglia ripor la sua gloria …. qual gloria, signor don Rodrigo! qual gloria dinanzi agli uomini! E dinanzi a Dio! Ella può molto quaggiù: ma …..„

“sa ella che quando mi viene il ghiribizzo di sentire una predica, so benissimo andare in chiesa, come fanno gli altri? Ma in casa mia! Oh!„ e continuò con un sorriso forzato di scherno: “ella mi tratta per da più ch’io non sono. Il predicatore in casa! Non l’hanno che i principi.„

“E quel Dio che domanda conto ai principi della parola che fa loro intendere nelle loro reggie, quel Dio che le fa ora un tratto di misericordia mandando un suo ministro, indegno e miserabile, ma un suo ministro, a pregare per una innocente …..„

“In somma, padre,„ disse don Rodrigo, facendo atto di partire, “io non so quello, ch’ella si voglia dire: non capisco altro se non che vi debb’essere qualche fanciulla che le preme assai. Vada a fare le sue confidenze a chi le piace; e non si prenda la sicurtà d’infastidire più a lungo un gentiluomo.„

Al muoversi di don Rodrigo, il frate s’era mosso, gli si era posto riverentemente dinanzi, e levate le mani come per supplicare e per trattenerlo ad un punto, rispose ancora: “Lucia mi interessa, è vero, ma non più di lei; siete due anime che entrambe mi premono più del mio sangue. Don Rodrigo! Io non posso fare altro per lei che pregar Dio; ma lo farò ben di cuore. Non mi dica di no: non voglia tenere nell’angoscia e nel terrore una poverella innocente. Una parola di lei può far tutto.„

“E bene, le consigli di venirsi a mettere sotto la mia protezione. Non le mancherà più nulla, e nessuno ardirà inquietarla, o ch’io non son cavaliere.„

A questa proposta , l’indignazione del frate trattenuta a fatica fino allora, traboccò. Tutti quei bei propositi di prudenza e di pazienza svanirono: l’uomo vecchio si trovò d’accordo col nuovo; e in quei casi fra Cristoforo valeva veramente per due.(significa: Padre Cristoforo è di nuovo Lodovico) “La vostra protezione!„ esclamò egli, dando indietro due passi, appoggiandosi fieramente sul piede destro, mettendo la destra sull’anca, levando la sinistra coll’indice teso verso don Rodrigo, e piantandogli in faccia due occhi infiammati: “la vostra protezione! Bene sta che abbiate parlato così, che abbiate fatta a me una tale proposta. Avete colma la misura; e non vi temo più.„

ATTENZIONE: esce il vero animo di Don Rodrigo che comincia a dare del tu a Padre Cristoforo.

“Come parli, frate?„

“Parlo come si parla a chi è abbandonato da Dio, e non può più far paura. La vostra protezione! Io sapevo bene che quella innocente è sotto la protezione di Dio; ma voi, voi me lo fate sentire ora con tanta certezza che non ho più bisogno di riguardi a parlarvene. Lucia, dico: vedete come io pronunzio questo nome colla fronte alta, e cogli occhi immobili.„

“Come! in questa casa …..?„

“Ho compassione di questa casa: la maledizione le è sopra sospesa. State a vedere che la giustizia di Dio avrà rispetto a quattro pietre e a quattro sgherri. Voi avete creduto che Dio abbia fatta una creatura a sua immagine per darvi il diletto di tormentarla! Voi avete creduto che Dio non saprebbe difenderla! voi avete sprezzato il suo avviso! Vi siete giudicato. Il cuore di Faraone era indurato quanto il vostro, e Dio ha saputo spezzarlo. Lucia è sicura da voi: ve lo dico io povero frate; e quanto a voi, sentite bene quello che io vi prometto. Verrà un giorno ….„

Don Rodrigo era fin allora rimasto tra la rabbia e la maraviglia attonito, non trovando parole; ma quando sentì intonare una predizione, un lontano e misterioso spavento s’aggiunse alla stizza. Afferrò rapidamente per aria quella mano minacciosa, e levando la voce per troncar quella dell’infausto profeta, gridò: “levamiti dinanzi, villano temerario, poltrone incappucciato.„

Queste parole così precise, acquietarono in un momento il padre Cristoforo. All’idea di strapazzo e di villania era nella sua mente così bene e da tanto tempo associata l’idea di sofferenza e di silenzio, che a quel complimento gli cadde ogni spirito d’ira e di entusiasmo, e non gli restò altra risoluzione che di udire tranquillamente ciò che a don Rodrigo piacesse di aggiungere.

“Villan rifatto!„ proseguì don Rodrigo: “tu tratti da par tuo. Ma ringrazia il saio (vestito da prete) che ti copre codeste spalle di paltoniere, e ti salva dalle carezze che si fanno ai pari tuoi, per insegnar loro a parlare. Esci con le tue gambe, per questa volta: e la vedremo.„

Così dicendo, additò con impero sprezzante una porta opposta a quella per cui erano entrati; il padre Cristoforo chinò il capo, ed uscì, lasciando don Rodrigo a misurare a passi concitati il campo di battaglia.

Comprensione del testo

Linguaggi non solo verbali-didattica a distanza

LINGUAGGI NON SOLO VERBALI

UDA DI ITALIANO

Oggi voglio approfondire con voi il discorso sui linguaggi, non solo quelli verbali (tecnico, poetico, etc.) ma soprattutto quelli non verbali.

Sotto vedete un’immagine particolare però, prima di arrivarci, bisogna faticare un poco e dividerò la lezione in tre parti:

  • Che cos’è il linguaggio;
  • breve storia dei linguaggi;
  • da un manga a un film: Alita, angelo della battaglia.

Preciso che questo ciclo di lezioni va studiato da tutti, anche dal corso A ove insegno storia e non italiano.

Anzi, per par condicio (espressione latina, traducetela così: per giustizia), vi inserisco anche una scheda del film Pompei che abbiamo visto insieme.

Ci sono molti modi per raccontare una storia: la si può scrivere, disegnare, recitare, danzare, suonare, cantare.

Vi sono dunque tanti LINGUAGGI a disposizione di un artista per narrare una storia e ognuno sceglie quello più adatto al proprio talento cioè alle proprie capacità.

Ma che cos’è un linguaggio?

Il linguaggio è un codice utilizzato da un gruppo.

Noi, in classe, ammettiamolo, abbiamo il nostro codice che è molto vicino al leggendario esperanto:senza rendercene conto, parliamo utilizzando le caratteristiche di diverse lingue e ne creiamo una lingua nuova, semplificata ma comprensibile: per imparare l’italiano usiamo, di fatto, una sorta di INTERLINGUA che unisce sguardi, gesti, parole inglesi, parole francesi, parole spagnole, parole albanesi ma… ci capiamo.

Tante volte ricorriamo ai disegni o alle immagini, questo avveniva soprattutto all’inizio perché non conoscevate la lingua: il livello A2 è un livello che garantisce la sopravvivenza e non altro; insieme abbiamo capito che, se scriviamo le parole alla lavagna, è più facile comprenderle perché le parole scritte si somigliano, è la loro pronuncia che crea confusione.

Insieme ci siamo accorti, e qui ci ha aiutati il caso, che la lingua albanese ha le declinazioni come la lingua greca e latina.

Noi ci comprendiamo perché, inconsapevolmente, ci siamo adattati a un linguaggio, a un codice.

Un codice che in casa mia, per esempio, non funziona: quando esco da scuola e sono particolarmente stanca, ho bisogno di un po’ di tempo per tornare alla lingua madre.

Noi utilizziamo il nostro codice per imparare l’italiano, la storia, la geografia.

Io uso un codice per trasmettervi delle informazioni, voi usate un codice per trasmetterle a me.

Potrei esagerare e dirvi che anche la matematica è un codice, si parla infatti di linguaggio matematico.

Il linguaggio non è solo verbale (cioè fatto di parole).

Attenzione: rientrano nel linguaggio non verbale anche il trucco, l’abbigliamento, i tatuaggi, i gioielli.

Ve lo dico perché un datore di lavoro guarda tutto!

Torniamo a bomba! Si tratta di un modo di dire e significa: torniamo al punto da cui siamo partiti.

Il linguaggio può essere:

GESTUALE

linguaggio gestuale

non vi ho messo il terzo dito ma lo conoscete bene!

CORPOREO

Ne sono un esempio danza e teatro

Roberto Bolle in un remake della coreografia di Bejart

ESPRESSIVO

L’attore/regista Dario Fo


SIMBOLICO

Segnali stradali

FIGURATIVO-ICONICO

Alita, manga di Yukito Kishiro

Esiste anche il linguaggio della musica, utilizzato in diverse occasioni, utilissimo per accompagnare la suspance nei thriller.


Non vi inserisco il trailer perché vi potrebbe spaventare! Vi basti la musica!

Esercizio

La danza sportiva, quel campionato di cui non si parla azzerato dal Coronavirus

Ci sono alcuni sport, come la danza sportiva, di cui non si parla: i giornali ci raccontano del dramma delle imprese, dell’incubo delle scuole chiuse (che costringono i genitori a fare i genitori), della crisi del turismo, della perdita d’immagine dell’ Italia (avevamo un’immagine?).

L’economia, di gran lunga più importante delle persone, è in forte sofferenza e il Governo emana decreti talora contraddittori, pressato sia dagli avversari politici sia da un virus che desta comprensibile panico.

Gli imprenditori accusano, additano e incombono come giudici severi su una politica asservita alla finanza; uno dei problemi di scottante attualità è il calcio: potranno i tifosi andare allo stadio? Potrà giocare la Roma? Potrà la Juventus festeggiare?

Il calcio, il “panem et circenses” che seda i coatti, non è l’unico sport che si pratica in Italia. Tuttavia il calcio, a porte aperte o a porte chiuse, sopravviverà perché ha le sue risorse, le sue vacche grasse. In questo momento distopico il mio pensiero va a quelle attività meno conosciute che muovono esse pure l’economia del Paese ma che sono ignorate dalla massa, in particolare penso alla danza sportiva le cui competizioni sono state azzerate dal Coronavirus.

Ma che cos’è la danza sportiva?

Vanessa Galaverna-Imponente Danza

La danza sportiva è, in primis, danza e cioè una racconto artistico-coreografico; a differenza della danza che praticavo io, nella danza sportiva vi sono regole ben precise sui tempi, sui costumi, sulle scenografie, sull’esecuzione.

Non è stato facile per me accostarmi a questo mondo poiché, per conto mio, la danza ha la sua ragion d’essere in teatro; eppure, seguendo le mie figlie, mi sono resa conto di come il racconto coreografico riesca ad essere completo anche in un qualsiasi palazzetto dello sport e senza l’ausilio di luci e gelatine.

La narrazione deve dunque essere perfetta, pulita, avvincente. Mia figlia, la più grande, per arrivare a questo si allena tutti i giorni e passa dalle due alle quattro ore in palestra.

Oggi avrei dovuto accompagnare le mie figlie a Calenzano e, probabilmente, ci saremmo andate in pullman perché, trasportare una squadra e le relative scenografie è tutt’altro che semplice: noi, tifosi della danza sportiva, dobbiamo essere in grado di montare, smontare, truccare i danzatori-atleti, siamo coinvolti e immersi in quest’attività sconosciuta ai più.

In tempi di Coronavirus questo settore, come gli altri, è in evidente sofferenza economica: le gare sono ferme, le palestre sono chiuse (per cui gli insegnanti non lavorano), i pullman non partono, i palazzetti non aprono.

Il comunicato della FIDS è chiaro e logico:

In merito alle ordinanze proclamate dal Governo attraverso il Ministero della Salute d’intesa con i Presidenti delle Regioni Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Emilia Romagna e Liguria, che prevedono lo stop alle “manifestazioni ed eventi e di ogni forma di aggregazione in luogo pubblico o privato anche di natura sportiva” per i casi sanitari di CoronaVirus registrati in questi giorni, la FIDS comunica a tutti i tesserati che i prossimi eventi federali in programma sono sospesi e rinviati a data da destinarsi. Convocata a breve una taskforce per analizzare la situazione e fornire informazioni specifiche.

Sono sospesi con effetto immediato:

  • Corso di formazione per tecnici federali (recupero) che si sarebbe dovuto tenere nei giorni 28-29 febbraio e 1 marzo a Bentivoglio (BO);
  • Corso di formazione ed allineamento qualifiche tecniche (ex FAD) che si sarebbe dovuto tenere nei giorni 29 febbraio e 1 marzo a Bentivoglio (BO);
  • Congresso di aggiornamento ed esame danze filuzziane che si sarebbe dovuto svolgere a Budrio (BO) il 1 marzo;
  • Campionato Regionale Marche, Toscana e Veneto Danze Folk Romagnole e il Campionato Regionale Emilia Romagna Danze di Coppia che si sarebbe dovuto svolgere dal 29 febbraio al 1 marzo a Burdio (BO)
  • Campionato Regionale Piemonte e Valle d’Aosta Danza di Coppia in programma dal 29 febbraio al 1 marzo a Biella (BI).

Tra le mille ordinanze emanate in questo periodo, ve n’è una che cozza con le altre: scuole chiuse ma palestre private aperte.

La FIDS Liguria ha dunque consigliato alle società sportive che ne fanno parte di sospendere anche gli allenamenti poiché il contagio non avviene necessariamente solo a scuola.

Mi chiedevo dunque questo: quali misure adotterà il governo perché le piccole società non falliscano?

Chi cadrà in piedi dopo questa crisi?

Rosa Johanna Pintus

La Tunisia, geostoria-didattica ai tempi del Coronavirus

cartina Tunisia

Buongiorno cari, oggi vi propongo, nell’ambito della geostoria, la Tunisia. Potete visualizzare la lezione su Edmodo, su Epub editor o qui ma, se il blog è più pratico per usufruire dei link, su Epub editor la lezione è semplificata grazie all’utilizzo dei colori (che qui non restano).

Ti conviene intanto ripassare questa lezione su Roma.

Abbiamo già affrontato l’argomento in classe, dunque considerate questo un ripasso.

Vi ricordate Didone ed Enea? Ne parlammo in relazione ai destini dei Troiani.

All’ epoca vi raccontai la relazione tra Didone ed Enea. Abbiamo visto che, secondo il mito, i rapporti tra Roma e la Tunisia, in particolare con Cartagine,non sono nati sotto una buona stella. Come abbiamo ricordato, secondo gli antichi, causa di tanto strazio fu proprio quella storia d’amore, tra la regina Didone, pia vedova, e il profugo Enea, un “mascalzone” che fuggiva da Troia, città incendiata dai Greci.

Evidentemente la rotta Turchia (ove si trovava Troia)-Tunisia (ove si trovava Cartagine) e Italia (ove si trovava Roma) era già praticata; forse non si attraversava il Sahel, perché l’Africa da cui molti di voi provengono non era conosciuta (hic sunt leones, dicevano i Romani).

Didone era, dicevamo, vedova e regina: una donna con tanto potere, troppo per l’epoca. Aveva capito che, l’unico modo per mantenere il regno, era quello di non sposarsi di nuovo.

Che poi amasse o no il defunto e compianto marito, tale Sicheo, poco ci importa.

Di fatto, quando vede Enea scendere dalla nave, è amore a prima vista.

Enea piaceva a tutte, la scrittrice Christa Wolf pensa che avesse addirittura una relazione con la sacerdotessa Cassandra (le sacerdotesse erano delle bellissime suore dell’epoca, non potevano avere fidanzati).

ATTENZIONE: sto usando il congiuntivo perché esprimo OPINIONI, non certezze.

Anche Enea rimane turbato da Didone: si guardano, si cercano, restano soli, scoppia un temporale, c’è una grotta e…lo fanno! “Lo fanno”, sapete meglio di me che cosa intendo.

Ma poi arriva Venere, dea della bellezza e madre di Enea, la suocera che nessuna donna vorrebbe mai avere.

Ed Enea ascolta la madre, non Didone. Parte perché il destino ha in serbo grandi cose per lui ma Didone, abbandonata, si uccide.

Molti anni dopo i nodi tornano al pettine: i discendenti di Enea, in particolare Romolo, ha già fondato Roma da tempo.

Tra i discendenti di Enea e i discendenti di Didone scoppiano le famose guerre puniche.

Se avete guardato il video che vi ho proposto e che ho scelto perché la docente Lorena è molto brava e chiara, ora potete leggere una delle pagine più toccanti della storia.

Vi ho già presentato Tucidide, Plinio il Giovane, Tacito e adesso ecco Polibio. Lo leggiamo perché scrive bene e perché voi dovete imparare a scrivere e a riconoscere la grammatica italiana (in realtà lui scriveva in greco, questa è una traduzione!).

In questo dialogo i protagonisti sono Annibale Barca, generale cartaginese, e Scipione l’Africano che era un generale romano detto Africano per le sue imprese in Africa.

ATTENZIONE: è un brano da livello B2/C1

Devi conoscere:

il periodo ipotetico

l’uso del gerundio

l’uso del participio passato

Polibio. Per la lettura semplificata e colorata vai qui.

L’indomani entrambi i comandanti uscirono dal loro accampamento con un gruppo di soldati; quindi, lasciati anche questi (guarda: il participio passato da solo!! Senza ausiliare!)si incontrarono a mezza strada, ciascuno con un interprete. Annibale, porgendo (mentre porge, porgere>dare) per primo la destra a Scipione, iniziò a parlare dicendo (e dice)che la cosa migliore sarebbe stata (condizionale passato che indica l’ impossibilità di tornare indietro, è UN PERIODO IPOTETICO) che i Romani non avessero mai aspirato (congiuntivo trapassato) ai territori fuori d’Italia, né i Cartaginesi a quelli fuori dell’Africa: i domini di entrambi sarebbero infatti stati ad ogni modo abbastanza vasti e circoscritti dalla natura stessa. «Ma poiché invece venimmo a contesa prima per il possesso della Sicilia, poi per quello della Spagna e infine, non sufficientemente provati dalla fortuna, siamo arrivati a tal punto che voi in passato e noi proprio ora corriamo pericolo per la salvezza stessa della patria, per salvarci dobbiamo smettere di combattere. Io sono pronto, perché ho imparato per esperienza personale come la fortuna sia mutevole e favorisca ora l’uno ora l’altro, trattando gli uomini come bambini. Temo però che tu (è un periodo lungo e rischi di perderti, segui le parole in verde), o Scipione, sia perché sei ancora troppo giovane, sia perché ogni cosa ti è andata secondo i tuoi piani, tanto in Spagna quanto in Africa, e non hai ancora subito alcun rovescio della fortuna, non ti lascerai convincere dalle mie parole, per quanto degno di fede. Considera (2 persona modo imperativo)pertanto, in base a quanto io ora ti dirò, quale sia il corso delle vicende umane: non ricorrerò a esempi del passato ma a fatti dei nostri giorni; ora mi trovo in Africa, ridotto a trattare con te che sei Romano, della salvezza mia e dei Cartaginesi. Ti esorto dunque a considerare tutto questo e a non insuperbire, ma a provvedere da uomo nelle presenti circostanze: cioè a scegliere sempre fra i beni il maggiore, fra i mali il minore. Chi, essendo avveduto, vorrebbe affrontare un pericolo quale quello che ora ti sovrasta? Se sarai vincitore in questa battaglia non potrai accrescere di molto la tua fama, né quella della tua patria; se sarai vinto distruggerai il frutto di tutte le tue nobili e splendide imprese compiute. >> Scipione rispose: «Come tu, o Annibale, sai benissimo, non furono i Romani a dar inizio alla guerra per la Sicilia e la Spagna ma i Cartaginesi! Anche gli dèi lo attestano, avendo concesso la vittoria non a coloro che hanno dato inizio alle ostilità, ma a chi ha combattuto per difendersi. Io considero più di ogni altro il mutare della fortuna e tengo conto per quanto è possibile della condizione umana. Se prima che i Romani passassero (congiuntivo imperfetto PROTASI PERIODO IPOTETICO)in Africa tu ti fossi spontaneamente allontanato (PROTASI PERIODO IPOTETICO) dall’Italia avendo offerto queste condizioni di pace, le tue richieste sarebbero state senz’altro soddisfatte!(APODOSI PERIODO IPOTETICO ).Ma tu te ne sei andato dall’Italia contro tua volontà, mentre noi, passati in Africa, siamo vincitori sul campo (cioè, le cose sono davvero mutate!).

Esercizio sul congiuntivo

Esercizio sul condizionale

Soprattutto poi eravamo già scesi (e NON eravamo scesi già/già eravamo scesi)a patti: i tuoi concittadini ce ne (ci avevano supplicati di questi)avevano supplicati dopo essere stati sconfitti e noi avanzammo proposte nelle quali(pronome relativo declinabile), oltre a ciò (pronome dimostrativo) che tu offri ora, era scritto che i Cartaginesi restituissero i prigionieri senza riscatto, rinunciassero alle navi da guerra, pagassero cinquemila talenti d’indennizzo e consegnassero (il congiuntivo in questo caso riporta una sorta di discorso indiretto)degli ostaggi a garanzia dei patti. Dopo aver stipulato questi accordi, inviammo ambasciatori al Senato e al popolo, noi per dichiarare il nostro assenso alle condizioni siglate, i Cartaginesi per implorare che esse fossero ratificate. Il Senato acconsentì, il popolo accettò le condizioni; i Cartaginesi dopo aver ottenuto (può diventare un gerundio?)quanto avevano richiesto, violarono i patti e ci tradirono. Che cosa ci resta da fare? Mettiti nei miei panni e parla: dobbiamo togliere le più gravi condizioni imposte, affinché i Cartaginesi, premiati per la loro empietà, insegnino ai posteri a tradire sempre i benefattori o, avendo conseguito quanto ci chiedono, ce ne siano grati? Avendo ottenuto attraverso le suppliche ciò che domandavano, non appena poterono contare un poco su di te, subito ci hanno trattati da nemici. Stando così le cose, potremmo proporre al popolo una nuova tregua se aggiungeremo alle precedenti qualche clausola aggravante, ma se dobbiamo rendere più lievi i patti già stabiliti, non è neppure il caso di avanzar proposte. Dove voglio arrivare dunque? Dovete consegnarci a discrezione voi stessi e la vostra città, oppure dovrete vincerci sul campo!».

In questo brano ho evidenziato diverse parole, osservale bene per svolgere correttamente gli esercizi.

Quiz sui verbi

Indovina il modo

Questo celebre brano di Polibio dovrebbe ricordarti un altro brano famoso letto in classe, quello dei Meli e degli Ateniesi.

Metti in ordine i fatti

In un political show i due avversari avrebbero la possibilità di esporre così chiaramente le proprie idee o litigherebbero?

Bandiera della Tunisia

Ora vediamo da vicino la Tunisia: guarda qui la Tunisia.

La Tunisia si trova nel Maghreb. Il suo territorio si estende per circa 2/3 al di sotto dei 400 m s.l.m. anche se a nord vi sono alcuni rilievi che appartengono alla catena dell’Atlante.

A est e a sud i rilievi dell’Atlante si abbassano e formano quella regione collinare denominata Sahel .

A sud c’è un’ampia depressione occupata da bacini lacustri salmastri, i chot.

La costa settentrionale è compatta quindi non ci sono porti.

A est c’è la profonda insenatura del Golfo di Tunisi .

La costa orientale si sviluppa da nord a sud, davanti a questa ci sono piccole isole: Gerba e le isole dell’arcipelago Kerkenna.

Il clima della Tunisia settentrionale e centrale è subtropicale, di tipo mediterraneo: l’estate è calda e asciutta, l’inverno è mite fuorché nelle aree più elevate dell’Atlante; le precipitazioni, in prevalenza autunnoinvernali, non sono abbondanti, con forti differenze da un anno all’altro.

A sud il clima è tropicale, con temperature più elevate, soprattutto d’inverno, e piovosità scarsa e irregolare, fino a divenire, nell’estremità meridionale, un vero e proprio clima desertico, con precipitazioni pressoché nulle.

Una vera rete idrografica (fiumi e laghi) esiste solo nella Tunisia settentrionale perché lì ci piove. L’unico fiume importante è la Medjerda, che ha origine in Algeria .

Vi sono poi alcuni laghi costieri della costa settentrionale, e soprattutto gli stagni salmastri, di cui il maggiore è il Gerid.

La vegetazione non è abbondante e verso l’interno sfuma nella steppa e nel deserto.

Nel Tell settentrionale vi sono querce e alberi da sughero (in Italia li abbiamo solo in Sardegna).

Sulla costa sono comuni la palma nana e il lentisco.

La fauna tunisina è quella tipica nordafricana.

Per quanto riguarda la speranza di vita, alla nascita è di 75,7 anni, questo dato è misurato dall’ONU attraverso gli indicatori del reddito, della salute e dell’istruzione per cui la Tunisia si colloca al 95° posto della classifica mondiale (2008).

La situazione della donna è pessima: in base a un altro indice dell’ONU, quello relativo alla condizione femminile (GDI), la Tunisia si piazza al 122° posto peròla Tunisia, tra i paesi arabi, è quello che maggiormente ha investito risorse nella promozione dello status sociale delle donne, fin dagli anni 1950. Tra l’altro, è stato il primo paese arabo che ha messo fuorilegge la poligamia.

La Tunisia è una repubblica presidenziale.

Le città principali sono Tunisi, che è la capitale, Sfax, Nabeul , Ben Arous, Monastir e Sousse.

Le parole della Tunisia, gioco didattico.

La didattica ai tempi del Coronavirus: Dante per il Cpia

Ragazzi, occorre reinventarsi un modo per portare avanti la didattica in questi tempi di Coronavirus, ripassiamo insieme e noi del CPIA Centro Ponente siamo sul pezzo. Del resto voi avete attraversato prove ben più dure e forse questo poeta vi è più vicino di quanto non crediate.

Alcuni di voi hanno già questa lezione su Edmodo, qui vi aggiungo un breve ripasso. Buono studio!

DANTE ALIGHIERI vive tra il 1265 e il 1321, è un poeta ma è anche un uomo che fa politica; quando il suo partito (Dante era un guelfo bianco) viene sconfitto e lui viene accusato dagli avversari politici di corruzione, si trova a scegliere tra la pena di morte e l’esilio. Sceglie l’esilio, si ritiene accusato ingiustamente, ed è costretto a chiedere asilo politico nelle altre città d’Italia.

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Gossip letterario: Dante è innamorato di Beatrice ma non è sposato con lei, sua moglie si chiama Gemma Donati e doveva avere molta pazienza con un marito così!

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Beatrice
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Gemma

Durante l’esilio scrive un poema molto famoso: La divina commedia.

La divina commedia è un poema diviso in tre libri, detti cantiche, ed è il primo poema scritto in lingua italiana.

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Stiamo parlando di un poema scritto più di 700 anni fa, eppure i suoi contenuti e la lingua attraverso la quale vengono raccontati, piacciono ancor oggi.

In effetti sono tre i veri grandi poemi della storia della letteratura, quelli che davvero parlano a tutti: l’Iliade, l’Odissea e La divina commedia.

E perché non ci lasciano indifferenti?

Perché trattano le grandi domande dell’uomo: la lotta, l’amore, l’amicizia, la morte, la speranza.

E Dante come affronta questi argomenti?

Attraverso la poesia. Attraverso la poesia Dante immagina di fare un viaggio attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso che sono i tre mondi dell’aldilà cristiano.

Nel momento in cui comincia il suo viaggio Dante è stanco, confuso. La narrazione è bellissima ma io devo richiamare qui la tua attenzione su alcuni elementi della frase, in particolare sull’utilizzo dei tempi verbali. Lo so, significa massacrare Dante, chiedo venia (chiedo scusa). Però, siccome sono brava e non sempre cattiva o severa, ecco a te due link per goderti il racconto.

Dante rap anglofoni

Non ho trovato valide traduzioni per le altre lingue…

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura

ché la diritta via era smarrita.

Cosa ci dice Dante?

Avevo circa 35 anni quando, poiché avevo perso la strada giusta, mi ritrovai in una foresta buia.

Nel mezzo del cammin di nostra vita: a 35 anni

ritrovai: passato remoto di ritrovare, indica un’azione conclusa e lontana

selva oscura: foresta buia

smarrire: “perdere”, avevo perso la strada giusta; Dante si trovava in un periodo difficile in cui gli era difficile scegliere tra il Bene e il Male. Smarrirsi: perdersi.

Ahi, quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte

che nel pensier rinova la paura

Mi è difficile raccontarvi come era codesto bosco, terribile e spaventoso e, se provo a ricordarmi quest’esperienza, ho di nuovo paura.

selva selvaggia: figura etimologica, nome e aggettivo provengono dalla stessa radice

rinova: rinnova, noi lo scriviamo con due N. Rinnovare in questo caso significa. ” al solo pensarci ho di nuovo paura!”.

Tant’è amara che poco è più morte;

ma per trattar del Ben ch’i’ vi trovai

dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte

Io non so ben ridir com’i intrai

tant’era pien di sonno a quel punto

che la verace via abbandonai.

Il ricordo è così spaventoso da essere simile alla morte ma in questo viaggio ho capito che cos’è il Bene e, per farlo capire anche a te, ti parlerò del Male, quello che per noi cristiani è Lucifero o Satana e per voi musulmani è Haràm. Io non ricordo perché mi trovavo lì, ero davvero molto confuso e così triste che avevo perso il senso della vita.

Come vedi tu stesso, continua l’utilizzo del passato remoto per cui, ormai, dovresti aver memorizzato la desinenza della prima persona singolare.

Guarda le parole evidenziate, si tratta di verbi: sono tutti indicativi ma cambia il tempo e, dunque, cambia il messaggio.

Trovai, intrai, abbandonai: passato remoto, azione lontana

Ma quali sono le altre persone? Esistono? Qui a Genova si usano?

Be’, tu intanto imparale.

ENTRARESCORGERESMARRIRE
Io entraiIo scorsiIo smarrii
Tu entrastiTu scorgestiTu smarristi
Egli entròEgli scorseEgli smarrì
Noi entrammoNoi scorgemmoNoi smarrimmo
Voi entrasteVoi scorgesteVoi smarriste
Essi entraronoEssi scorseroEssi smarrirono
   

I più…buffi…sono questi:

ESSEREAVEREFARE
Io fuiIo ebbiIo feci
Tu fostiTu avestiTu facesti
Egli fuEgli ebbeEgli fece
Noi fummoNoi avemmoNoi facemmo
Voi fosteVoi avesteVoi faceste
Essi furonoEssi ebberoEssi fecero

Gli altri verbi che vedi nelle terzine sono questi:

dirò: azione futura

era: imperfetto, azione continuata nel passato.

L’imperfetto, questo sconosciuto

L’imperfetto è semplice da coniugare ma quando si usa?

Mi piacerebbe semplificare e dirti che corrisponde all’inglese I used to ma, purtroppo, non è così.

L’imperfetto è un tempo verbale dei modi indicativo e congiuntivo. E’ una delle due forme di passato più usata nella lingua italiana, insieme al passato prossimo.

L’imperfetto è un tempo verbale del modo indicativo che serve ad esprimere un’azione continuata e prolungata del passato.

Se tu guardi sul sito della grammatica italiana trovi questo, te lo riporto così studi più agevolmente:

  • I verbi in –ARE hanno una A nella parte del verbo che cambia Es: io parl + A + vo
  • I verbi in –ERE hanno una E nella parte del verbo che cambia Es: io prend +E + vo
  • I verbi in –IRE hanno una I nella parte del verbo che cambia Es: io part+ I + vo

Usiamo l’imperfetto per:

  • descrivere una situazione continuativa
    • Il tempo era caldo e umido
  • Fare una descrizione psicologica, parlare di sentimenti ed emozioni
    • Non è venuta alla festa perché era triste
  • Parlare di un’abitudine, di qualcosa che avveniva con regolarità
    • L’estate, da bambino, andavo sempre al mare
  • Dopo la parola “mentre”
    • Mentre camminavo per strada ho incontrato Nicola
  • Parlare di azioni continuate, non limitate nel tempo o non concluse
    • Il mio cane era nella sua cuccia e dormiva tranquillamente
  • Raccontare un sogno
    • Ero in mezzo alla strada, incontravo persone che conoscevo ma che non ricordavo…

Molto spesso in italiano utilizziamo l’imperfetto al posto di altri verbi considerati esatti dall’italiano più formale. Vediamo qualche esempio:

  • Usiamo l’imperfetto al posto del presente indicativo o del condizionale per rendere meno forte una richiesta:
    • Volevo prenotare una camera per due notti ANCHE SE è meglio VORREI prenotare
  • Scegliamo l’imperfetto dell’indicativo al posto del congiuntivo trapassato e del condizionale passato per esprimere un’ipotesi irrealizzabile
    • Se mi chiamavi, ti aspettavo per mangiare (frase corretta: se mi avessi chiamato, ti avrei aspettato per mangiare).

E ora a te!

Esercizio

Esercizio 2

Stasera ti mando le fiere e Virgilio…

Day one: Coronavirus isolation

Today, for us, in Genoa, is the day one. Yesterday I went at church, in San Rocco, and I jocked with the priest about Coronavirus, he said: “Be quiet, we have our corona” and he showed the rosary crown. We laughed, he was a fanny priest from Bergamo. We knew that Lombardia has a big problem, people from Lodi have to stay at home because they have some people with Coronavirus.

My cousin called me, she is from Bergamo, near Milano, and told me that she can’t find coronavirus mask; I tried to buy someone for her but, also in Genoa, there aren’t more.

People, when they want, are really quikly to find what they think is important for life.

I called her: “I didn’t find mask”.

She said: “Don’t warrie, I look Amazon…oh, shit! They are so expensives!”.

“Yeah, it’s true: it’s speculation.”

So I went at home and I thought: “It’s Salvini nemesis: now Italian people are not the first but the last!”

Yesterday evening everything changed quikly: in Liguria every school must be closed. I can’t believe it.

The order start to 00.00 of 24 February, so there is a big problem! Nobody thing to stop the Lega dinner in Genoa, why? 1,500 people for him and nobody think to Coronavirus!

Today I feel myself strange: I used to have my coffee at 7.20 am, to run for the train, to write poems by my mobil, to explain Dante: I was near to speak about Ulisse and tell: “Fatti non foste a viver come bruti”. But now, nothing.

The schools are closed but sport clubs are open. Really, why should we close them? In January and February there is every championschip: football, rugby, dance, swimming. In January and February, who is a mother or father, say all the spots hall and the Coronavirus was already in Italy.

Them my family with other family will wait and will study every symptom.

However it ‘s good to live between our walls, we have some space for us: we speak, we cook, we play together.

Today we made ragù and lasagne, we went to our sports but maybe tomorrow every phisical activities will be prohibited, we don’t know.

Sorry for my english,

goodnight

Rosa J. Pintus

Scandalo a Sanremo? Non in nome del rap!

Sanremo sta per cominciare e la macchina scandalo-audience è partita a tutta velocità; continuerebbe la sua folle corsa ma, ahimé, è stata fermata dal Coronavirus.

Dal Coronavirus, non di certo dai femminicidi che hanno caratterizzato questi ultimi giorni.

No, il femminicidio non ha fermato proprio nessuno, è diventato argomento di …poesia, un dolce stil novo che io odo: arte che non va censurata. Una vocina mi chiede: ma perché Erri De Luca ha rischiato il carcere per molto meno?

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Sanremo è Sanremo: da sempre criticato e da sempre osannato. Carlo Besana lo definisce un rito, una liturgia e non ha torto. Il festival, accanto alle canzonette melodiche, ha ospitato pezzi importanti, di denuncia sociale e il mio ricordo va a Barbarossa che nel 1988 cantava “L’amore rubato“. Ve lo ricordate quel pezzo?

La ragazza non immaginava
che così forte fosse il dolore
passava il vento e lei pregava
che non tornassero quelle parole
adesso muoviti fammi godere
se non ti piace puoi anche gridare
tanto nessuno potrà sentire
tanto nessuno ti potrà salvare
e lei sognava una musica dolce
e labbra morbide da accarezzare
chiari di luna e onde del mare

Era il 1988 e Luca Barbarossa sollevava un problema enorme ma, solo nel 1996 avvenne il miracolo: i reati sessuali, prima considerati semplicemente delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, furono finalmente ( legge 15 febbraio 1996 n. 66, norme contro la violenza sessuale) inseriti nel Titolo XII del Codice Penale, “delitti contro la persona”, si riconosceva cioè che la vittima era la donna e non la morale.

Io, nel 1995, considerata causa del mio destino per il semplice fatto che sapevo ballare ed ero carina, provai a denunciare l’argomento in una questura popolata all’epoca da soli uomini; mi guardarono come se fossi una puttana e, a un certo punto, cominciai a dubitare di me stessa.

Me l’ero cercata? Era colpa mia? Certe ragazze non frequentano certi luoghi. Certi luoghi? Diamine! Io ero in una palestra, non ero in certi luoghi degradati. E allora perché non avevo urlato? Vero è che se avessi urlato…ma la verità nuda e cruda è che tu non urli perché ti vergogni da morire, perché ti senti in colpa anche se subisci ma soprattutto perché non riesci a credere che quella cosa stia succedendo proprio a te, ti sembra di vivere la scena di un film e la tua persona diviene altro.

Allora, si era drogata signorina?

Ero tentata di sputare in faccia al poliziotto. Ritirai la denuncia, anzi non terminai proprio di farla. Ricordo che a un certo punto me ne andai; ne parlai, dopo qualche anno, al mio incredulo professore di greco dell’ università, al quale avevo lasciato la mia rielaborazione dell’Ippolito e aveva capito. Fu lui a dirmi che quel libro non poteva restare nel cassetto, che non era giusto, che Artemisia aveva avuto coraggio, che quel libro era la denuncia perfetta. Pubblicai il libro molti anni dopo: ero già un’insegnante di ruolo e, quando mi fu chiesto qualcosa su quel particolare pezzo, raccontai che come insegnante avevo sentito molti racconti da ragazze e madri. Generico, perfetto, sicuramente vigliacco.

Cercai di opporre resistenza, adirata per il precedente schiaffo, in realtà non ero più in grado di amarlo.

Un freddo stridore di metallo accompagna il ricordo.

«Non fare la sciocca Fedra, sei mia moglie».

«Non ora Teseo, non ci riuscirei», il suo volto mutò repentinamente.

«Apri le gambe, donna, aprile», lo sguardo che generò Ippolito fu, dunque, quello? Povera Antiope!

Era folle: il sangue concentrato nelle sfere oculari, la sua virilità, durissima spada, mi trapassava da parte a parte. 

La mia femminilità umiliata, a brandelli.

Allora cominciai a capire cosa intendesse Antiope.

Solitudine.

Se esiste una parola che accomuna le donne prese a forza quella è proprio “solitudine”.

Ho gli occhi ma non vedo. Grido un urlo senza voce.

Io avevo i Greci, potevo sublimare nei classici e potevo parlare di me stessa come se fossi un’altra, e non una qualsiasi, una donna inesistente, una figura mitologica che non esisteva e, se non esisteva, nulla era accaduto.

Nel ’96 quei reati, che prima rientravano nelle fattispecie “violenza carnale” e “atti sessuali” vennero definiti “violenza sessuale” e adesso sono puniti a norma dell’articolo 609 bis del codice penale.

Non che nel ’96 sarebbe cambiato qualcosa in questura, non credo, le donne che denunciano fanno rabbia e danno fastidio, per questo la maggioranza decide di tacere e, alla fine, tacqui anch’io e ci misi una pietra sopra.

Eppure nei romanzi questa cosa usciva prepotentemente ogni volta:

La vedono

Si chiedono quale padre imprudente possa lasciare quella ragazzina da sola.

 La guardano meglio: è senza dubbio la figlia della Mariella che guadagna qualche soldo trascinando i loro padri nella sua stanza e le uova gliele ha date Turiddu; forse per questa volta si è accontentato di guardare le belle gambe.

Il sapore del ricordo è presente come fiele; “è passato, è passato”, Pietro predica, suda e ripiomba in quel mentre. 

 “Vieni accà”, disse Tony, all’epoca suo migliore amico e leader indiscusso del gruppo quindicenne. Ines capì subito che era perduta: non aveva fratelli a cui chiedere vendetta né sapeva chi fosse suo padre. Pietro provò una sensazione di panico e di eccitazione insieme, non si sentiva di opporsi al gruppo, dentro era in preda a un fuoco infernale che lo arroventava, lo avviliva, lo innalzava. In fondo in fondo era suo diritto prendersi Ines, suo padre spendeva i soldi proprio con Mariella e un piccolo risarcimento, loro figli, se lo meritavano. Ines tentò comunque di scappare, più per dovere che per convinzione – del resto sapeva che prima o poi le sarebbe capitato – la distanza le dava un certo vantaggio ma le uova la impedivano nella fuga.

Tony le afferrò i capelli con una mano, lei si voltò con due occhi che erano taggiasche mature e lui le rubò un bacio, poi la lasciò andare tanto per divertirsi ancora un po’ a inseguirla.

Pietro le fu davanti e di lato giunsero proprio quel Pasquale che ora giaceva nella bara, Marcello e Cosimo.

 La presero, tutti e cinque, e sazi la abbandonarono sul bordo della strada.

E ancora:

La condusse in camera e girò la chiave nella toppa, quindi la prese per i capelli, la fece inginocchiare (sta’ ferma, non ti voglio fare alcun male) e condusse il suo volto tra le gambe (o sul lettino della palestra?). Sonia, piangendo (almeno metti il preservativo, almeno quello !- tu sei venuta da me, non ti ho cercato io) in silenzio, eseguì tutto quello che le veniva richiesto in una sorta di trance nella quale tre uomini si sovrapponevano: lui, Elio e Marcello. I bimbi dormivano profondamente mentre lei riceveva schiaffi e insulti sussurrati nel buio (lo vedi? sei una strana bambina e mi ecciti).

Per cui, per tornare al punto di partenza e giusto per necessità di chiarezza, io non sono certo la tipa che si scandalizza per le parole di…Lelly Kelly, ne so usare di peggiori e di più violente; io semplicemente m’incazzo per i contenuti, diffusi senza alcun filtro, a un target di adolescenti da uno pseudoartista che sì, lo ammetto, manderei in carcere a riflettere.

Perché cosa scrive costui?

Robin Hood, deruba ricchi
Malibù, limone a spicchi
Si fanno le storie con quaranta fighe
Ma poi arrivo io quindi tu non ficchi
Dentro al gioco, chiappe strette
Amici rapper, solo marchette
Voglio vedere la vostra faccia sopra i pacchetti delle sigarette
Sì, li ho uccisi tutti quanti io
Sì, li ho uccisi, signor maresciallo
Gliel’ho servita come han fatto loro
Gliel’ho servita sopra a un piatto caldo
Testa alta quando ti parlo
Guardami in faccia quando ti parlo
Mi hanno sfidato, è stata una cazzata
Come quando scopi e ti togli in ritardo
Lei si chiama Gioia, ma beve poi ingoia
Balla mezza nuda, dopo te la da
Si chiama Gioia perchè fa la troia
Sì, per la gioia di mamma e papà

Questa frate non sa cosa dice
Porca troia, quanto cazzo chiacchiera?
L’ho ammazzata, le ho strappato la borsa
C’ho rivestito la mascher
a.

Mi dite che si tratta di rap, addirittura di cliché del rap: eh, poverino, è vissuto in periferia…

Cosa?

Io ci sono vissuta nell’estrema periferia e conosco i ragazzi delle case popolari, il loro modo di pensare.

Non basta provenire dalla periferia per insignirsi del titolo di rapper.
Da noi, nell’estrema periferia genovese, nei palazzoni popolari dai citofoni bruciati e le siringhe abbandonate sugli stipiti degli ascensori, l’unica maschera accettata è quella di pelle, la propria pelle.

Chi non mostra il proprio volto, chi si nasconde e ti scruta senza lasciarsi guardare, è definito pisciazza.

Lì chi solo si azzarda a spingere una donna, viene preso a cinghiate sulla pubblica piazza e manco viene soccorso.

Non dico non vi siano grida e c’è chi picchia le donne ma poi il quartiere o il carcere regolano i conti.

Da noi, nella periferia di Genova, non mancano rappers o trappers ma i testi dei nostri sono bellissimi e raccontano in versi l’io di chi li canta, come nel caso di Tedua che scrive:

Da bimbi pensavamo noi da grandi in cella/ Chi ha il rello in piazza porta gli altri in sella/ Non mi sottovalutare, non sai cosa ho in serbo/Resto fermo no o vedrò generazioni passare tipo il bidello.

O Young Slash in Mamma :

Oggi sono un po’ cambiato/ quello che tu mi hai dato è molto/ più di un tuo sorriso/ Mamma/sei l’unica che mi capisce,/ mamma/ dalle ferite mi guarisce./Cambia/ tutto quando si fallisce:/ ma chi ti preferisce, sai, non ti tradisce mai.

Si tratta di ragazzi giovani che sì, usano le parolacce, il dissing, ma i contenuti parlano di valori profondi, a volte di rabbia verso la società e le istituzioni affinché il malessere sociale divenga un grido d’arte.

Però qui risulto di parte, lo sapete che amo il Cep per cui risulto faziosa. Se ci spostiamo da Genova e andiamo nelle grandi città, i bravi rappers non mancano, in particolare ce n’è uno che reputo geniale: Lowlow; leggete questo testo, si tratta del Sentiero dei nidi di ragno (e già dal titolo si capisce che il ragazzo legge).

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Lowlow

In strada principesse che frugano nei rifiuti
I geni sono tutti rinchiusi nei manicomi
Non siamo più persone, siamo solo polinomi
A Spoon River c’è una lapide con scritti i nostri nomi

Non ho mai avuto un ferro, né una pistola ad acqua
Morirò senza aver mai messo una cravatta
Morirò senza aver mai baciato una
Urlando come un sordo sotto una luna distratta
.

Però conosco un posto che gli altri non sanno
Dopo il bosco nero, il sentiero dei nidi di ragno
Quando i grilli canteranno, gli adulti balleranno insieme
Sopra le ossa dei partigiani seppelliti in mezzo al fango
.

E sarò eternamente grato ai miei ascoltatori
Ma devo dirvi una cosa delle peggiori
Siamo ventenni vomitati dal ventennio Berlusconi
E la musica non vi salverà, salvatevi da soli.

Per inciso, anche Lowlow proviene dalla periferia di Roma ma, a differenza di Junior Kelly, è un artista. Un testo troppo delicato e intellettualoide? Se volete la violenza pura, ma motivata davvero dalla rabbia sociale, ascoltatevi Ulisse:

Ho scelto il male perché il bene era banale
Dio m’ha dato una pistola facile da maneggiare
Forse certa gente la deve pagare
Forse io non ho paura di sparare
E probabilmente non servirà a niente
Lo capisco da solo, mi reputo intelligente
Ma sento queste voci e mi partono queste fisse
Un giorno di vita di Nico, Ulisse

Stai sanguinando stella? Non fai pena a nessuno
Vuoi sapere perché fumo, perché digiuno?
Vuoi vedere il video di un bambino bullizzato online?
Vuoi sapere che pensavano quelli di Columbine?
(Etc.)

Quello di Junior Kelly-Lelly Kelly. invece, non è né rap né, è istigazione a delinquere.
La coraggiosa DS Angela Rosauro, in una lettera a Tutto Scuola, ha affermato, con forza, che il Sistema Istruzione non può tacere di fronte alla presenza in RAI del rapper Junior Cally. La Scuola non può stare a guardare, e soprattutto non può tacere il Miur che invece tace, pur essendo il massimo punto di riferimento per gli studenti, i DS e gli insegnanti.

Del resto un velo impietoso andrebbe calato anche sul mitico Amadeus che, intervistato dai giornalisti, è apparso come uno scolaretto impreparato e privo del necessario lessico di base per rappresentare l’Italia a Sanremo.

A meno che l’Italia non sia diventato proprio questo: un Paese di gente zotica e vil.
Tuttavia anche in questo caso, il peggiore, il mondo della scuola e tutte le istituzioni chiamate a rappresentare e a proteggere la cultura non possono esimersi dal condannare questa scelta: Tucidide ci ricorda che il Male non è soltanto di chi lo fa ma anche di chi, potendolo impedire, non lo impedisce.

Le motivazioni per impedire che il Festival giunga a questa disonorevole deriva sono molteplici, non si tratta soltanto di buon gusto.
In primis la RAI non appare più in grado di scegliere i suoi conduttori e si piega al capriccio di un Amadeus che mira a nascondere la propria inadeguatezza con uno scandalo: il modo più antico per
richiamare audience e per nascondere il fatto- mai metafora è stata più opportuna- che sotto la maschera c’è il nulla.
Se viene sdoganata la cultura dello scandalo, gli adolescenti vi si adegueranno e cercheranno le vie più facili per diventare noti attraverso atti istintivi e lesivi.
Non solo: senza bisogno di scomodare Lelly Kelly, Amadeus è riuscito a delegittimare con un’ unica asserzione, “è bella e sa stare un passo indietro”,anni di faticose lotte per la parità di genere e a legittimare l’atteggiamento sempre più narcisista e prepotente che hanno ormai alcuni teenager nei confronti della “tipa”.

Mettiamo, per quanto possibile, da parte i contenuti dei testi che vi ho proposto, facciamo un discorso meramente artistico, formale: quale dei due rapper presi in esame testo critica l’attuale società in maniera profonda? Quale invece ci resta impresso in quanto disturbante, ma vuoto, e usa una maschera come trampolino per il successo?

Lowlow è un artista, Junior Cally conosce la comunicazione e il marketing.

Sarebbe un ottimo produttore, indubbiamente capace, ma che faccia cantare gli altri!

Ahimé, dobbiamo stare zitti, altrimenti veniamo accusati di censurare l’arte anche se sono la prima, nei miei libri, a non utilizzare perifrasi.

Io non censuro l’arte, critico la non -arte travestita da arte e, come artista, Lelly Kelly è un quacquaraquà, cioè un uomo da niente-come spiega Camilleri-incapace di rispetto.

Siccome però quacquaraquà e populisti vanno per la maggiore, in questo Paese, l’uomo mascherato ha successo e qui si chiude il cerchio.

Intanto i femminicidi sono in ascesa, certo, non è colpa del rapper ma i suoi testi esaltano, e non denunciano, il potere assoluto del maschio sulla femmina; non solo, egli definisce “strega” questa donna che gli suscita sì nobili pensieri. Preferisco la strega di Vasco Rossi che, almeno, sceglie di fare l’amore. Asserire che Cally tira fuori il problema per risolverlo, è come legittimare il gesto di Salvini che ha citofonato nel quartiere Pilastro e io non ci sto.

Quale messaggio passa? Come interpreta questo testo chi lo ascolta e non ha gli strumenti critici per capirlo? Vogliamo dire che ha un significato letterale e uno allegorico?

Oh, allora ci troviamo di fronte a un novello Dante, chapeau!

Vogliamo sottolineare che il ragazzo ha fatto un salto di qualità poiché nel testo in gara ci parla dei migranti e si spaccia per cattocomunista?

No, non facciamoci prendere in giro così.

Vale la pena di ricordare che un adolescente non è un adulto, è piuttosto un bambinone che sta abbandonando l’infanzia e che è alla di “modelli altri”, rispetto a quelli proposti da Scuola e famiglia, che lo aiutino a rapportarsi col gruppo dei pari e, nel contempo, ad affermare il proprio
ruolo di uomo in potenza.
Le femmine invece, adolescenti pure loro ma ancora figlie di una concezione patriarcale che fatica a scomparire in Italia, potrebbero intendere che l’unico modo per emergere in Italia sia non tanto la bellezza
quanto l’ostentazione di questa e l’accompagnarsi a un uomo famoso.
E intanto questo individuo continua a raccogliere visualizzazioni in un capolavoro pubblicitario che non ha eguali.
Mi chiedo, in maniera ingenua, perché certi video non vengano oscurati ma anche perché, l’attrice del video non si sia rifiutata di prestarsi a questo gioco; una ragazzina che entri per la prima volta nel tempodelle mele potrebbe intendere che il sesso sia quello, che sia giusto farsi fare determinate cose dai ragazzi,che tutto sommato lo dice anche Sanremo, che la violenza è amore estremo. Un ragazzino potrebbe ritener
giusto legare, violentare e riprendere una ragazza per poi postarla su Instagram.
Tutto questo grazie a ciò che Amadeus e la RAI definiscono arte.
Aiuto!
Forse è il caso che la RAI faccia un passo indietro e la Scuola faccia un deciso passo avanti altrimenti…speriamo che salvino i nostri ragazzi i “Me contro Te”!

Rosa J.Pintus

La donna uccisa due volte

La donna uccisa due volte, un titolo da film ma non lo è; sono passati diversi mesi dalla stesura di quest’articolo: ho dovuto attendere il consenso della vittima, ho spedito questa narrazione a diversi giornali ma nessuno si è preso la briga di raccontare i fatti descritti in quanto spesso vi sono più modi di interpretare la verità, non per nulla il titolo di quest’articolo era, ab origine, “effetto Rashomon”.
Rashomon, come il film di Akira Kurosawa, perché la verità, in questo caso, è frutto di relazioni transferali.

Solo che una verità, con tanto di testimoni scriventi, è data per certa, l’altra non è neppure considerata se la persona in questione è una donna e, quindi, facilmente isterica se non pazza come Anne Sexton e Sylvia Plath di cui il marito Ted Hughes scrisse:

Lei pianse, implorando conferma, che avessi fiducia in lei.

Del resto, in nome della follia, erano già state diffamate le varie medee, cassandre, antigoni (queste ultime sono quelle che si spezzano ma non si piegano) delle varie epoche storiche; per cui quale scappatoia più semplice per un uomo rispettabilissimo e blasonato…

Quanto sto per narrare è scomodo, antipatico, assurdo e, forse, in alcuni passaggi addirittura pindarico; tuttavia non posso più tacere perché il tempo corre velocemente e raramente medica.

La vicenda, della quale prima non ero autorizzata a parlare, ve la racconto adesso, così per come mi è stata riportata; ed è per il profondo rispetto che nutro nei confronti di chi l’ha vissuta che ho mantenuto il segreto anche con il comitato di cui faccio parte e che ho reso partecipe degli eventi soltanto pochi giorni fa.

Vi sto dunque per descrivere una faccenda spinosa, accaduta in seno a uno dei più chiacchierati concorsi proposti dalla pubblica amministrazione, forse il più discusso degli ultimi tempi; un’amministrazione, quella attuale, che prova a operare secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza ed economicità ma affida le operazioni a persone talvolta pigre talvolta svogliate talvolta senza scrupoli, la trasparenza viene così inficiata dalla discrezionalità più completa.

Pensate, voi che non siete avvezzi ai concorsoni, a quanto stabilisce la riforma della PA, a quante gride, di manzoniana memoria, sono rimaste inascoltate nell’agire! Per esempio, ai sensi dell’art. 22 della legge 241/90, la cosiddetta legge della trasparenza recita (nel duplice significato del verbo che comprende anche la finzione scenica): al fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse diretto, concreto e attuale per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi.

Ebbene, nonostante le numerose richieste, i famosi atti risultano momentaneamente inaccessibili.

Anche il famoso codice sorgente è inaccessibile così come inaccessibile è la verità su questo specifico impianto concorsuale, su quelli dell’università, su quelli della Sanità: la PA rende le procedure trasparenti ma le commissioni non lo sono affatto!

Per chiarire ai non addetti ai lavori: il concorso di cui stiamo parlando è stato annullato, con sentenza breve, dalle sentenze del TAR n.8655/2019 e n.8670/2019 del 2 luglio 2019.

Ciononostante il Consiglio di Stato ha sospeso l’efficacia della sentenza in nome della ragion di Stato ovvero ciò che può indurre il decisore politico a giustificare un’azione illecita sotto il profilo del diritto internazionale o del diritto interno.

La giustizia amministrativa farà il suo corso attraverso un iter tutt’altro che economico o veloce e prima o poi ci sarà giustizia; qui mi preme puntare il proiettore su un caso limite del suddetto concorso e, pur senza rivelare gli attori di tale vicenda né dirvi di quale concorso si tratti, ecco in breve quanto accaduto in un dato giorno in un determinato orale.

Il verbale che citerò durante il mio racconto è quello originale, desidero però riprendere la mia precedente riflessione:molto si è detto e molto si è taciuto sul concorso, le accuse rivolte alla PA hanno fatto male a tanti però io ritengo che i problemi in questo percorso non siano stati provocati tanto dalla responsabilità della PA quanto dall’assoluto arbitrio delle commissioni, quell’arbitrio che è stato più volte identificato come un semplice fattore di discrezionalità.

Quella che mi accingo a descrivere è la storia di un orale che è stato annullato.

Riporto qui sia il verbale della commissione sia le dichiarazioni della candidata: si tratta di percezioni così distanti sui medesimi accadimenti da lasciare esterrefatti.

Questo caso è un unicum che da subito ha diviso gli animi e di cui nessuno ha ancora parlato ma poiché, in alcune dichiarazioni, ho colto giudizi non rispondenti a verità su questa candidata, è divenuto necessario rispondere, coram populo, a quanti mi hanno chiesto che cosa fosse avvenuto quel giorno a Linda (nome fittizio).

Non do interpretazioni, non è mio compito; semplicemente narro quanto appreso e confido che si possa fare chiarezza sul caso.

Alle ore 11.00 la candidata Linda, nata a e identificata con C.I. n. rilasciata dal Comune in data , o – dopo aver estratto rispettivamente da quattro terne un quesito, uno studio di caso, una prova pratica per la verifica delle conoscenze degli strumenti informatici e delle tecnologie della comunicazione, un testo nella lingua straniera prescelta e dopo essere stata invitata dalla Commissione a leggere il quesito estratto per dare avvio alla prova orale – si è rifiutata di rispondere al quesito estratto ed ha iniziato a parlare di contenuti del tutto difformi dalle materie d’esame di cui all’art. 10 del D.M, n, 138 del 03.08.2017.

Ho domandato a Linda perché si fosse rifiutata di rispondere e lei ha affermato che intanto non erano le ore 11.00, che l’avevano lasciata per ultima e non c’erano colleghi in aula che, in qualità di testimone, vi era solo un suo amico estraneo al concorso.  
Inoltre ha aggiunto: “non mi sono “rifiutata di rispondere al quesito”; in ogni momento ho chiesto loro di parlare; volendo dare una spiegazione etimologica iniziale ho fatto presente la mia formazione di filologa, appunto”.

E in effetti Linda, interrogata sull’alternanza scuola-lavoro, ha cominciato così:  la parola“scuola” deriva dal greco  σχολή che significa tempo libero.

Sarebbe andata avanti se non fosse stata fermata dalla commissione, urtata forse dal richiamo alle vere origini dello studio o, semplicemente, non istruita a gestire una risposta più ampia ed approfondita.

Di fatto le viene impedito di portare avanti la risposta e non sono passati che pochi minuti quando la commissione, senza altre domande, le chiede di andarsene.

Ci tengo a precisarlo: secondo Linda non sono le 11.00, ella insiste sul fatto che la commissione non ha rispettato l’ordine dei candidati e che, a parte il suo amico, non vi erano altri candidati in quell’aula come testimoni del corretto svolgimento del colloquio.

Sul verbale ancora si legge:

La candidata ha camminato avanti e indietro davanti alla Commissione nonostante i ripetuti inviti a sedersi e a iniziare la prova orale, si è inginocchiata per implorare di essere ascoltata sulle sue vicende personali, ha aperto una valigia che ha portato con sé per mostrarne il contenuto alla Commissione, ha raccontato di aver fatto un sogno in cui moriva dopo aver sostenuto la prova orale del concorso.

E anche su questo punto la versione di Linda è differente: Mi sono inginocchiata dopo la minaccia: “se non se ne va chiamiamo i carabinieri”. Ero inoffensiva, volevo solo sostenere il mio orale, non stavo minacciando nessuno ma il mio torto deve essere stato quello di far notare al presidente che non si rivolgeva a una scolaretta ma a una candidata che poteva pretendere una certa autonomia sulla risposta. Desideravo raccontare, dialogare, condividere anni di studio di fronte a volti che mi parevano umani ma il mio richiamo all’autonomia al presidente non è piaciuto e non me l’ha perdonato; allora sì, in quel momento l’ho detta quella frase che mi deve aver fatto considerare pazza: “Forse si sta realizzando il mio incubo: stanotte ho sognato che facevo l’orale e morivo”. E mi è venuto da ridere (non volevo piangere) perché mi pareva di vivere una situazione assurda, surreale, onirica.

Le chiedo quindi perché avesse sentito l’esigenza di aprire la valigia:
Il discorso della valigia era anteriore: essendomi stato chiesto se fossi lì a vendere vestiti ed essendomi stato detto che la mia persona ledeva il decoro del luogo, l’ho aperta rapidamente per mostrare come fosse piena solo di libri! Come faceva a ledere il “decoro di un’università” una valigia piena di libri?

Quindi il verbale non solo falsificherebbe l’orario ma anche l’ordine dei fatti!

Il verbale prosegue:

Preso atto del venir meno delle condizioni per lo svolgimento della prova orale da parte della candidata, il Presidente ha sospeso i lavori della Commissione ed ha chiesto l’intervento del servizio di gestione delle emergenze dell’Università …, affinché venissero poste in essere adeguate misure per invitare la candidata ad allontanarsi e consentire la regolare prosecuzione dei lavori della Commissione per lo svolgimento delle prove orali dei candidati rimanenti, mantenendo sempre un clima sereno ed accogliente.

Il presdente ( scritto proprio così)

Secondo il verbale gli altri candidati avrebbero assistito al colloquio di Linda ma ella sottolinea nuovamente che in aula era presente soltanto un amico poiché era stata interrogata per ultima mentre avrebbe dovuto sostenere l’orale alle undici e alcuni candidati -per motivi non noti- sarebbero stati chiamati prima.

Ho cercato a lungo qualcuno che fosse presente a quell’orale, anche nella pagina facebook dedicata al concorso ma pare che nessuno abbia assistito all’orale di Linda .

Venissero poste in essere adeguate misure per invitare la candidata ad allontanarsi è una frase che, scritta così, dice tutto e niente ma sicuramente lascia percepire un clima diverso da quello descritto dalla commissione.

Linda si sfoga così:

Arrivata in fondo ad un concorso a cui ho immolato gli ultimi nove anni della mia vita, non mi è stato dato modo di rispondere alla domanda dell’orale.

Annullato. Finito, così, PUFF.

All’improvviso sento di non avere più la terra sotto i piedi. 

Ho cominciato a studiare per il concorso nel 2011.

Otto anni, sette ministri e tre figli fa.

Molte sono le domande prive di risposta ma una mi tormenta: è giusto condannare la PA? Per cosa?

Non sarebbe invece meglio ricorrere contro certe commissioni?

Perché, come dicevo all’inizio, ci si ostina a parlare di discrezionalità e non di totale arbitrio?

Linda non è una candidata qualsiasi: è riuscita, dopo la prova scritta e nella piena incertezza del risultato, a direzionare le nostre energie nella realizzazione di un progetto, un esperimento di studio attivo, portato avanti da noi candidati, su quanto avevamo appreso, macinato, digerito, rielaborato; anche in occasione dell’esito della prova scritta, ha cercato di placare gli animi e ha inventato un progetto di sintesi visiva delle nove aree coordinando i sopravvissuti.

E ancora adesso, con lei e molti altri, siamo riusciti a costruire una zona franca in cui non litigare tra promossi e bocciati ma nella quale stiamo collaborando per rendere la normativa accessibile anche agli stakeholders.

La sua capacità di gestione delle organizzazioni complesse, la sua progettualità vulcanica e nel contempo razionale non le sono bastate per superare l’orale: ha impostato l’interrogazione come non avrebbe dovuto osare, ha avuto l’audacia di pretendere di essere ascoltata mentre la commissione non ha avuto neppure il coraggio di bocciarla, le ha annullato la prova per segnalare la diversità, la divergenza di questo strano soggetto.

Dice Linda:

Non ho fatto in tempo a dire una frase che sono stata buttata fuori dall’aula. Mi sono rifiutata di muovermi quando il presidente mi ha detto che mi aveva annullato l’orale. Mi sono rifiutata di muovermi perché sapevo la risposta e volevo solo parlare. Gli addetti alla sicurezza mi hanno trascinata via attraverso il corridoio pieno di croci dell’università privata che ospitava il concorso”.

Come ho anticipato, o in una sorta di effetto Rashomon ci troviamo di fronte a due verità o qualcuno ha mentito e ha danneggiato un altro.

Io non c’ero e non posso dare testimonianza diretta di quanto accaduto ma qualcosa di strano, per giungere all’annullamento e non alla bocciatura, è senz’altro accaduto.

Varrebbe la pena di indagare, guardando negli occhi le persone, e di chiedere seriamente alle varie commissioni se ritengano di aver operato secondo coscienza durante la correzione degli scritti e durante lo svolgimento degli orali.

Varrebbe anche la pena di denunciare per diffamazione coloro che hanno alimentato la voce di una Linda instabile.

Varrebbe la pena! Spero che i candidati abbiano il coraggio di raccontare la propria storia, che qualcuno “dei media importanti” legga quest’articolo e decida di aprire un’inchiesta e su questo caso e sul concorso tutto.

Questa donna, uccisa due volte in quanto diffamata, in questo momento sta combattendo una battaglia più importante ma mi ha consegnato le sue parole e io sono in dovere di dirvele.

Rosa Johanna Pintus

Homo magister et Homo oeconomicus

Scrive Herbert A. Simon: “La teoria economica tradizionale presume coraggiosamente che le persone prendano le loro decisioni in modo da massimizzare la loro utilità. Accettare questa ipotesi consente all’economia di prevedere una grande quantità di comportamenti (in modo corretto o scorretto) senza mai fare studi empirici sugli attori umani.”

Non posso fare a meno di pensare alle sue teorie quando osservo, dalla mia fortunata posizione di bocciata, le sorti dei vincitori di questo concorso e mi chiedo come mi sentirei al loro posto.

Il concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici si è rivelato disumano fin da subito: l’imposizione di conoscere a memoria 4000 test senza, in alcuni casi, comprenderne il significato ha delineato senza ombre la strada che si sarebbe dovuta percorrere per arrivare al traguardo; tuttavia si pensava che i vincitori, dopo aver superato indenni la trappola di Tissaferne (ossia la correzione random della prova scritta) e le terre dei Taochi (la prova orale), avrebbero potuto esultare gridando: “Thalassa! Thalassa”.

Invece non è così: i vincitori al momento stanno peggio dei vinti perché, ancora una volta, contro ogni logica economica, si trovano ad essere numeri in mano a un impietoso algoritmo che non ammette variabili.

Non è la prima volta che accade, già nel 2016 professori e insegnanti si sono trovati a dover fare una scelta radicale.

Quando osservo la logica che ci ha portato all’attuale situazione della Scuola, mi sento protagonista di un esperimento comportamentista atto a valutare in maniera euristica le potenzialità e il grado di adattabilità dell’Homo magister, specie in via d’estinzione (per evidenti cause esogene) soprattutto nell’Italia settentrionale e mi chiedo se l’obiettivo non sia quello di trasformare l’uomo di umani sentimenti in Homo oeconomicus o, se si preferisce un’analogia con Michael Ende, in Grey Gentleman.

Me lo domando ma lo nego perché, per natura, sono portata a credere che l’essere umano agisca in buonafede e non mi resta che affidare le risposte a H. A. Simon; egli dimostra che gli uomini, pur possedendo la ragione, non sono in grado di utilizzarla secondo i parametri economici più convenienti.

In effetti, se una situazione è complessa, non si può perder tempo a considerare tutte le variabili (eventuali figli, legge 104, problemi economici nel trovarsi a pagare sia un mutuo sia un affitto) ma diventa necessario proteggersi con quella che Simon definisce “razionalità limitata” ovvero una ragione che, pur basandosi su calcoli approssimativi o del tutto errati, porta a risultati non ottimali ma comunque soddisfacenti.

E’ il criterio del satisficing.

Solo così mi spiego la logica di un algoritmo che calpesta quei diritti che ciascun lavoratore chiede: la Soluzione Ottimale è stata la regina di questo concorso fin dall’inizio e, fin dall’inizio, ha provocato vittime innocenti: effetti collaterali della pratica più veloce per assumere.

Ma solo adesso, punendo anche i vincitori, mostra il suo vero volto.

Certo, anche i carabinieri sono costretti a spostarsi, ma gli affitti che si trovano a pagare sono ridicoli e, se dirigono l’arma, sono spesati di tutto.

Solo gli insegnanti sono privi di tutele economiche quando vengono costretti a trasferirsi, solo i dirigenti delle nostre scuole si trovano a dover affrontare qualsiasi sacrificio venga loro richiesto (dalla quadrupla reggenza carpiata alla statica impronta digitale).

Il bando, del resto, era chiarissimo: concorso nazionale.

Il tutto sta nella definizione che diamo a quell’aggettivo che fa rima tanto con razionale quanto con casuale.

E la domanda che sorge spontanea è: “Siete coscienti di farci affrontare tutto questo?”

Con solidarietà a chi ha vinto e a chi è stato vinto.

Alessandra Giordano

La Scuola e la periferia: un invito all’ascolto

Sono giorni molto difficili, questi, per la Scuola; un’estate troppo breve per contenere tutte le emozioni, le istanze, le delusioni. Mi volto indietro e riguardo l’anno scolastico, trascorso a studiare, a sperare, a piangere, a rialzarsi e a togliere, inevitabilmente, tempo agli affetti.

Un anno intenso, sicuramente formativo ma che, fino a poche ore fa, pensavo mi avesse lasciato in mano soltanto un pugno di sabbia e un leggero calo scolastico dei miei figli che ho seguito di meno nello studio (rendendoli finalmente autonomi).

Un pugno di sabbia che scivola tra le dita perché non ho vinto ma sono viva e sto recuperando il tempo della famiglia.

Non è andata così per Andrea e Claudia, vincitori stroncati da una morte prematura.

Mi chiedo come abbiano vissuto questi ultimi anni, caratterizzati principalmente da una parola: attesa.

Attesa della preselettiva e degli esiti, della prova scritta e degli esiti, dell’orale e dell’esito, dell’annullamento e dell’eventuale ribaltamento della sentenza.

Li penso; avranno pur letto qualche mio articolo battagliero e si saranno forse arrabbiati; certo l’esito finale, la loro morte improvvisa, non l’avevano immaginato. Si pensa a un Dio, io credo in Dio, ma la domanda “Perché?” resta senza risposta, quasi sussurrata in un silenzio di ghiaccio.

Non è la morte in sé a sconvolgere, nel mio quartiere si muore giovani e consumati, a fine funerale un bell’applauso alla bara nella speranza che il defunto affronti l’Aldilà con la consapevolezza che non ha avuto nell’ Aldiquà.

Sconvolge di più la morte di persone che, per un breve tratto di vita, si sono trovate a percorrere lo stesso sentiero, a condividere i medesimi sogni, ad arrivare-nonostante tutto- al traguardo e a non poter raccogliere il frutto di tanta fatica.

Andrea, sul profilo di FB, sorride e brinda mentre Claudia rivela uno sguardo intenso, caldo, pieno; già dai loro volti si intuisce che sarebbero stati attenti, scrupolosi, a tratti ironici, più presidi che dirigenti.

Non ci sono più e ci inchiodano a quel destino umano che tendiamo a dimenticare: così urliamo, ci azzanniamo come cani pronti a dare il corpo del nemico in pasto agli avvoltoi.

E ieri, mentre girellavo per le vie presa da questi pensieri come solo ai vivi è concesso, ho appreso la notizia dell’arresto di un mio ex alunno:

“Davvero non lo sapeva? E’ successo qualche mese fa.”

“Ma non qui, vero?”

“No, ad XXX, era all’estero”.

Sono abituata agli arresti degli ex alunni, non è il primo e non sarà l’ultimo; crimini infantili che vedono l’utilizzo di pistole giocattolo, crimini irrispettosi, crimini per portar la ragazza a cena fuori in un posto decente, crimini.

Ma ieri non ero proprio in vena di arresti e ho chiuso gli occhi pensando al motivo che più mi spingeva a diventare dirigente: combattere quella dispersione scolastica che miete vittime nel primo biennio delle superiori. perché è lì che si perdono i ragazzi. Il biennio delle superiori in alcuni istituti è un limbo: i professori faticano a tenere le classi, i genitori faticano a gestire gli alunni, i ragazzi-considerati dei miti nei quartieri d’origine- si rendono conto che lì sono nessuno e agiscono la frustrazione con rabbia o, semplicemente, tolgono il disturbo e se ne vanno per strada.

Per questo mi rivolgo ad Andrea e Claudia, perché da lassù illuminino i cuori di quei dirigenti che sono troppo impegnati a difendere la fama di scuole serie e rigorose, a punirne uno per educarne cento.

E mi rivolgo anche ai nuovi dirigenti, specie a quelli che prenderanno servizio nella secondaria di secondo grado: non abbandonate i ragazzi di periferia, piuttosto proponete quei percorsi di apprendistato (e non di ri-orientamento) che li potrebbero davvero aiutare.

Si tratta di una battaglia importante che molti tendono a dimenticare e che gli insegnanti si trovano a combattere da soli: se un ragazzo non viene a scuola, andatelo a cercare.

Devo dare atto che, nel caso di Verona, questo si fa; a Verona i baristi che accolgono minorenni in orario scolastico pagano una multa ma nel resto d’Italia non è così: non è così a Genova. Anzi accade che questa, come tante città d’Italia, si comporti da madre con alcuni ragazzi e da matrigna con altri; si sa, Genova è una città lunga e difficile ove turchino e smeraldo si snodano aristocratici e sereni sulla costa mentre, dalla collina, incombono violenti, come nembi autunnali, pronti a esplodere, i casermoni dei quartieri popolari.

Le scuole superiori e la borghesia cittadina per il momento non se ne curano (ci sono già le scuole di quartiere, i presidi culturali dei ghetti per i quali, però, valgono le regole delle altre scuole e le sovvenzioni diminuiscono di anno in anno) ma, prima o poi, si troveranno fare i conti con questa realtà che preferiscono negare fingendo di non vederla.

Eppure le tessere di un tessuto urbano si intersecano e, se si incontrano, traggono forza le une dalle altre in modo da appianare le differenze; se invece si ignorano o si scontrano, quelle fortificazioni invisibili ma per ora solide, saranno destinate a cadere radendo al suolo tutto.

Chiedo dunque ai nuovi dirigenti di parlare con chi è a disagio perché la parola di un capo d’istituto è più forte di quella di un coordinatore di classe, di trovare soluzioni positive, di spronare i docenti a segnalare le assenze per tempo e non solo quando queste hanno superato il limite consentito; chiedo di non sospendere i ragazzi ma di includerli, di non pretendere che tutti conoscano “il Programma” ma di considerare che, nella nostra penisola, esistono luoghi in cui non valgono le leggi del resto d’Italia.

Se qualche dirigente avesse cercato, parlato, agito -anziché gettare la spugna- forse oggi nelle carceri straniere ci sarebbe un Italiano di meno e a scuola un ragazzo in più.

Alessandra Giordano