Optimates et Populares: roventi scandali e verità non dette

Se…in barba alla datazione storica

 

Se gli antichi Romani andassero alle urne il 4 marzo, non potendo scegliere tra optimates e populares, Catone il Censore voterebbe la Lega censurando ogni spinta europeista (già criticò l’ellenizzazione dirompente e la cultura)

I due Gracchi voterebbero per Liberi e Uguali mentre Mario, con l’appoggio dei Metelli, voterebbe forse la Meloni convinto che sia Roma a dover entrare in Africa e non viceversa.

La questione non è semplice: gli optimates raccoglievano l’aristocrazia terriera, i patrizi, mentre i populares riunivano molte istanze: la sinistra progressista, che non era pacifista, l’apertura dell’esercito alle classi disagiate, i problemi relativi alla cittadinanza.

Uomini di Roma

Silla, della costola di Mario, opterebbe per Casa Pound mentre Crasso, spalleggiato da Cicerone (un Ghedini ante litteram), vorrebbe Berlusconi al potere per poter accedere a una minore tassazione. Obietterete che Crasso, in quanto sostenitore di Catilina, non sarebbe mai stato difeso da Cicerone, ma nella Roma dell’inciucio tutto sarebbe stato possibile: un Cesare pentastellato avrebbe infatti gettato scompiglio in una Roma piombata nel caos.

Cesare e la sua Cornelia erano della fazione dei populares; però Cesare aveva capito che la casta degli optimates andava rottamata, non alla maniera di Renzi ma a quella di Di Maio.

E Pompeo? Pompeo apparteneva agli optimates, è evidente, ma sarebbe stato con Casini o con Renzi poiché le posizioni del centro-sinistra e del centro-destra non presentano differenze.

Catone l’Uticense invece verrebbe fatto fuori per l’accusa di ebrius (ubriacone), asso nella manica di Cesare:

Potuitne plus auctoritatis tribui

Catoni, quam si ebrius quoque tam venerabilis erat ?

Donne di Roma

Se rivolgessimo lo sguardo al gentil sesso, non mancano le parole forti per Clodia: sfrontata, senza freni, ricca e libidinosa a modo di una prostituta.

In realtà si trattava di una donna colta, politicamente strategica, capace; sposata con un conservatore ella si sentiva una populares, tanto che cambiò il suo nome da Claudia in Clodia, secondo la pronuncia del popolo.

Cicerone detestava le donne capaci, era molto vicino al defunto Catone il Censore e tuonava che:

Se gli schiavi e le donne disobbediscono, è l’anarchia.

Le donne non erano amate dai Romani, basti pensare alla successiva campagna contro Messalina, in epoca imperiale, che Tacito-pur definendo una favola- racconta.

Non mancano voci su Servilia Cepione, madre del cesaricida Bruto, considerata amante di Cesare (chissà, forse una perizia psicologica su Bruto avrebbe potuto chiarire meglio quel Tu quoque Brute…); invece combattiva e tremenda fu Porcia Catonis, unica donna a pugnalare il tiranno.

Clodia meretrix

Tratto da Frammenti in fiore di Alessandra Giordano, ecco una rilettura di due dei protagonisti di quella Roma.

Clodia guardava il mare, il processo di Celio volgeva ormai al termine e il principe del Foro continuava ad accanirsi contro di lei.

Si sentiva distrutta, disonorata, Cicerone l’aveva obbligata a denudare il pube e a orinare di fronte alla plebe e ai patrizi come se fosse stata una cagna.

Ricordava con amarezza il giorno in cui si era sentita libera, forte e impavi

da: era seduta sul letto e assaporava il futuro.

Vedova! Finalmente vedova! Quinto Cecilio Metello era morto e sepolto assieme alla verginità di Clodia.

La accusassero pure: era innocente, non aveva ucciso!

Sapeva che avevano bisogno di accusarla: erano spaventati da lei.

Era finita la scena della brava matrona che doveva apparire poco e lavorare molto per mantenere intatta la propria dignità. Che poi cos’era codesta dignità se non l’ennesimo giogo del potere maschile?

Si ammirò: nuda e giovane, colta e capace.

Questo l’incipit di un’interpretazione che getta un’ombra sull’osannata figura di Cicerone; ora lasciatevi andare.

Pensò al brutto volto di Cicerone, uomo tronfio e severo con tutti tranne che con quella smorfiosetta di Tullia, sua figlia e con Terenzia, la moglie di lui, che le aveva dichiarato guerra aperta.

Quello che però Clodia non riusciva a capire era come Cicerone la odiasse dopo averla così facilmente posseduta: la aveva già distrutta fisicamente, a che scopo ucciderla a colpi di stilo?

Quel giorno era ancora doloroso e vivo nella sua mente, nel suo corpo.

L’aveva raggiunta, dopo la riunione del Senato, col suo solito modo di fare accusatorio e l’aveva guardata con sommo disprezzo:

<<Sempre accanto a Publio Clodio! Finalmente hai tra le mani Roma: non ti bastavano i Galli!>>.

La tratteneva per il braccio e le faceva male:

<<Nonostante tutto Metello era mio amico. Quali filtri hai usato?>>.

<<Lasciami stare! Non capisco dove tu voglia giungere con queste allusioni. Perché di questo si tratta, tu non credi ai filtri.>>.

Poi, dopo una corrugata pausa, disse:

<<Ho capito Tullio! Mio fratello ti ha inferto un bel colpo costringendoti all’esilio! Be’, non è stato lui a mandare a morte Catilina senza regolare processo! Come hai potuto tu, garante delle leggi, macchiarti di un simile omicidio?>>.

La vendetta di Cicerone

<<Sono andato in esilio, è vero; ma al ritorno il popolo mi ha acclamato a gran voce perché io non ho scandali da temere; io non ho attentato all’onore di Pompea travestito da donna! Una scena degna di Aristofane!>>.

<<Cesare non aspettava altro che ripudiare la povera Pompea! Mossa perfetta la sua: mia moglie non deve neanche essere sfiorata dal dubbio, deve essere pura! Che torto aveva oltre quello di non essersi uccisa?>>.

<<Ciò non toglie, Clodia, che tu e tuo fratello offendete continuamente la dignità di Roma!>>.

<<A quale Roma ti riferisci? Quella dei padri è morta coi padri! Ne hai avuto prova coi Gracchi, con Mario, con Silla e con quel povero Catilina!>>.

Anche se lui la tratteneva per entrambe le braccia, Clodia era tranquilla perché sapeva che, a differenza di tanti uomini, egli amava soltanto Terenzia; non si avvide quindi che egli aveva la brama nello sguardo e si perdeva in quegli occhi vagamente orientali e così sfuggenti per la presenza di cromatiche asimmetrie, la pupilla sinistra era infatti macchiata da una spruzzata di verde ulivo.

Il principe del Foro, al pari di Catullo e Rufo, si accorgeva di desiderarla e quest’impulso lacerava la sua ben nota coerenza al mos maiorum.

Si avvicinò alle sue labbra, ora sussurrava.

Ella temette ma non ascoltò quel timore.

I suoi sensi però gridavano, la braccavano con mille voci ed ella le mise a tacere, calda per le accuse e per il dibattito politico.

Tuttavia quella sensazione oscura, taciuta dalla mente, si rifletteva sugli occhi: Clodia ora appariva visibilmente spaventata e questo acuiva il desiderio di Cicerone:

<<Vieni, >>le disse piano e deciso<< non è il luogo in cui parlare.>>.

I sandali la condussero sul carro, si sedette e fu di nuovo in preda di quel senso di nausea, di disagio.

Ah, se le donne ascoltassero l’istinto per fuggire!

Clodia restò, immobile in se stessa.

Il carro si diresse verso la Suburra, gli odori erano acri e diversi e le voci riportavano i differenti idiomi delle conquiste dell’Urbe.

<<Dove mi stai portando? Ho un appuntamento, lasciami scendere.>>.

Suburra e pregiudizi

L’uomo rise:

<<Con quel tuo Catullo? Poco male, si consolerà ritraendoti in un carme. Devo ammettere che ha stile, quel giovane!>>.

<<Tullio fammi scendere, adesso!>>.

<<Sennò? Cosa mi fai? Farti scendere adesso è una follia, la plebe ti sbranerebbe in un attimo; siamo nella Suburra e le tue grida non verrebbero ascoltate da nessuno. Vuoi questo?>>.

Fuggi, Clodia!

Cicerone non aveva torto, anche se condivideva il desiderio di quella stessa plebe era uno solo e non era un violento.

Clodia, guardali quegli occhi…

<<Ho un piccolo appartamento, in un’insula anonima; me lo ha procurato Crasso a poco prezzo.>>.

Entrarono, ella si sentiva sconfitta e davvero non capiva cosa volesse quell’uomo da lei.

Davvero non lo capisci Clodia? Prendi le scale, scappa puella!

L’interno era ordinato ma arredato con mobili di scarso valore.

<<Quando voglio stare tranquillo vengo qui >>, si sdraiò su un letto ligneo e aggiunse:

<<Coraggio!>>.

<<Come? Scusa?>>.

<<Mi ci vuole un attimo a trascinarti nel Foro con l’accusa di aver ucciso Metello, non ti difenderebbe neppure Cesare che, del resto, in questo momento è più interessato a Cleopatra che a te. Chi ti difenderebbe, Clodia?>>.

<<Ho la coscienza a posto, Cicerone!>>.

Una punizione patriarcale

<<La coscienza, nella nostra attuale Roma, è una favola per bambini. Chi ti crederebbe? Non siamo nell’Atene di Pericle e comunque, il tuo amato fratello, non ha la stoffa del grande statista né, ahimé, la sua intelligenza.

I popolari qui non arriveranno mai al potere e tra i senatori tu non godi di buona fama.

Siamo tu e io qui e saresti dovuta scappare già prima anziché lasciarti spingere sul mio carro: ritenevi davvero che desiderassi parlarti di politica? Con una donna? Non ho molto tempo, spogliati.>>.

Lui era già nudo, in piedi, il membro eretto e perpendicolare al corpo; una leggera pinguedine che poggiava sul pube dimostrava un uomo non più giovane ma potente.

Clodia non aveva scelta e lo lasciò giocare col suo corpo; non provava nulla se non la vergogna di assecondare l’uomo che più di tutti odiava.

Egli fece e la costrinse a fare il lecito e il non lecito in un amore empio e privo di inibizioni: Clodia piangeva e così facendo accresceva l’ego dell’oratore che, quando fu sazio, la lasciò in terra, prostrata in posizione fetale, e si limitò a commentare:

<<Questo è il tuo ambiente, Clodia; potresti cominciare a pensarci. Io ora vado, non credo che ti spaventerà la Suburra.>>

 

Si meritava questo lei? Il tradimento della società patriarcale giustificava tale accanita violenza?

Chi avrebbe potuto accusare l’eroe della patria? Colui che aveva sventato la congiura di Catilina superava il congiurato nella violenza e lo eguagliava nei vizi.

Tratto da Frammenti in fiore, Alessandra Giordano, Liberodiscrivere

Rosa Johanna Pintus

 

 

 

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