Il Genovese: storia di un uomo, atto primo

Un incontro inatteso

 

Le persone si incontrano per caso,o per destino, a volte per strada e a volte in rete; a volte, e per assurdo, sono accomunate da obiettivi simili ma differente ideologia.Conosco il Genovese per caso, su FB; è uno di quelli che non si sofferma sul mio aspetto fisico ma sulle parole che scrivo.

Lui è anziano, io “diversamente giovane”, l’età sulla rete -sulla tanto criticata rete- non conta perché, se è vero che proliferano selfie “a deretano di gallina” (che poi classificano le persone per quello che sono) o commenti insostenibili da parte di uomini devoti a Priapo, la rete è agorà.

Tra me e il Genovese c’è, sulle prime, una pacata osservazione a debita distanza perché lui è un camerata e io sono una compagna. So che molti compagni mi criticheranno per la storia che mi appresto a raccontare, la persona di cui parlo è per me molto importante nonostante le sue idee politiche; noi rossi faremmo meglio a conoscere i nostri avversari per poterli confutare, invece ci muoviamo spesso sulla base di pregiudizi e perdiamo le nostre battaglie.

Ultimamente tutte.

Ad ogni modo e senza timore, lui comincia a frequentare i miei gruppi e, con coraggio, esprime le sue idee.

Col tempo veniamo a scoprire che siamo legati dal sangue, dal suo patto di sangue con mio zio, e il dialogo diviene storia.

Il Genovese si racconta e i suoi racconti sono avventura: un mondo di coraggio prestato alla parte politica a me avversa (la mia, in questo momento, è rappresentata da eunuchi), luoghi di militanza sottratti al mio partito che dorme: in un attimo e sotto il naso.

L’Argentina

La mia famiglia è giunta in Argentina nel 1851 a bordo di un brigantino; guadagnò parecchi soldi distribuendo alimenti su una chiatta che percorreva il Rio de la Plata. Una fortuna che in Italia non si sarebbe mai ottenuta.

Io nacqui nel secondo ventennio del Novecento, su una nave che batteva bandiera italiana, il Conte Grande. I genitori borghesi ci tenevano che i figli fossero italiani e non argentini.

Tuttavia, all’alba del secondo conflitto mondiale, il padre si ammala e muore; il ritorno in Italia coincide con la miseria più nera, difficilmente accettabile dopo un’infanzia tanto agiata, e la madre trova impiego in lavanderia: lava le divise ai militari.

1943

Il 1943 è l’anno dell’armistizio di Badoglio; nei manuali di storia viene descritto come l’anno dei partigiani, la situazione è molto più complessa, rosselliniana. Qualche eco critica si trova anche nel romanzo di Giampiero Villavecchia “Il profumo inebriante della libertà“, quest’ultimo assolutamente da leggere, poiché non vi sono divisioni tra buoni e cattivi ma tra momenti di impotenza e delirio di potenza.

Situazione complessa che io ho sempre conosciuto con occhi di sinistra ma che voglio mettere in luce anche da un altro punto di vista, quello di chi milita nella destra sociale:

Vicino a noi abitava O, egli trasferiva di nascosto le armi in casa nostra, era molto motivato a combattere: il fascismo aveva perso ma eravamo in molti a credere nella Repubblica Sociale.

Io ero un ragazzino e trafficavo armi che alimentavano la guerriglia e, in particolare, i franchi tiratori.

Franchi tiratori erano quegli Italiani che uccidevano, con azioni di cecchinaggio, agli Americani che combattevano contro i fascisti; mi chiedo come mai mi ritrovo a parlare con il Genovese e so che, se fossimo in guerra, non saremmo al telefono a chiacchierare: saremmo davvero a spararci? Non lo so, forse non ci saremmo neppure ri-conosciuti.

Dopo la guerra, il Genovese torna in Argentina e viene osservato da Eva Peron; a sedici anni il nostro sosteneva il fascismo peronista.

(fine prima parte)

Rosa Johanna Pintus

Se mi commentate sul blog, anziché su FB, mi fate una cortesia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *