La lingua è una questione metafisica?
Ho riflettuto su questo,ultimamente, poiché punzecchiata da insigni docenti per l’uso improprio, a loro dire, del condizionale.
Il casus belli è stato provocato da una lettera pubblicatami da Orizzonte Scuola riguardo il concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici.
Di tale lettera, della quale ho inserito il link per non essere prolissa, mi viene contestato il seguente periodo:
Che il concorso non sia stato trasparente è innegabile: ci sono le prove, ci sono due inchieste dell’Espresso e non credo che professionisti simili scriverebbero il falso.
La risposta immediata della controparte è stata:
Lei non sa usare il congiuntivo.
Mi pareva abbastanza chiara la mia intenzione di sottintendere la protasi se non avessero prove certe, ma evidentemente non è così: la nostra società è fragile, se non vede certezze non le può afferrare e le sinapsi faticano a cogliere ciò che non viene esplicitato.
Però, in questo caso, chi mi ha attaccato, non è uno sprovveduto ma è una persona che sicuramente sa di latino.
Tuttavia io non ci sto a passare per una che non sa il congiuntivo: io adoro il congiuntivo perché, in una società ricca di false certezze, è un modo verbale che esprime incertezza e possibilità.
Secondo l’antagonista quel condizionale è un errore, anzi, un orrore.
Perché?
Come sempre in questi casi mi viene in soccorso Tullio De Mauro che col trattato “L’educazione linguistica democratica” provoca il crollo dell’Accademia della Crusca.
La lingua, secondo De Mauro, è biologicamente flessibile in virtù della sua componente diastratica, diafasica, diamesica.
Però, ed è questo lo spunto interessante del linguista, le classi dominanti hanno interesse a difendere la staticità, l’immobilità della lingua scritta riportata per motivi di sintesi sulle grammatiche.
Non c’è nulla di più facile che ridurre la grammatica a un mero esercizio di potere, a fare segni blu sono capaci anche gli insegnanti meno preparati.
Un insegnante non studia la grammatica, studia il Devoto, il Radice, il De Mauro e fa riferimento alle Dieci Tesi, documento più che mai attuale in una società come la nostra.
Seguire una forma pulita, asettica, morta e limitarsi a riempirla di contenuti non è difficile, è un puro esercizio di esecuzione che ho portato avanti per i cinque anni di liceo classico.
Poi ho scoperto Virginia Woolf e il suo Orlando, James Joyce, Anais Nin e Christa Wolf e mi sono resa conto che la potenza espressiva di una prosa spezzata, strappata, rivoltata è maggiore rispetto a quella di un periodare perfetto.
Certo: bisogna saperla usare, avere gli strumenti per interpretarla ma non tutti li possiedono, neppure nel corpo docenti.
La perfezione della forma è la negazione della letteratura: Verga, Manzoni, lo stesso Camilleri usano una prosa codificata?
Non mi pare: giocano con le parole, danno voce ai personaggi, descrivono-attraverso l’uso consapevole della lingua-gli ambienti.
Infine rispondo alle ultime accuse: quella di esprimermi per pensierini, di non saper interpretare un testo, di essere l’esempio di una classe insegnante mediocre.
Verificare se il compito scritto risponde alla costituzione di un formulario statico è cosa che può ottenersi agevolmente: ciò nasconde la necessità di adeguarsi alla necessità linguistica della classe dominante. Si tratta però di una tendenza all’addestramento monolinguistico che però è arbitraria e deriva dall’esigenza di classificare il tutto.
Questa è una comprensibile e apprezzabile necessità, non la verità.
Il glottodidatta monolinguista lo sa ma tace.
De Mauro usa parole difficili, volutamente provocatorie; critica la tendenza degli insegnanti e dei linguisti a presentare l’ideale platonico della lingua senza sottolinearne le potenzialità espressive e senza analizzarne il contesto sociale.
Mediocri, per conto mio, sono quegli insegnanti che si limitano alla lettura dei manuali o delle antologie.
Mediocri sono quegli insegnanti che spiegano gli autori senza averli mai letti.
Mediocri sono quegli insegnanti che non vedono l’errore come parte di un percorso di apprendimento ma scherniscono gli allievi nelle loro debolezze e li umiliano.
La lingua perfetta tranquillizza i conservatori e i mediocri, la lingua in evoluzione è espressione di democrazia e di ricerca.
La pretesa di una lingua statica, spesso incomprensibile, ha ucciso in questo Paese la democrazia e ha aperto le porte agli slogan semplificati e ha consegnato il Paese ai peggiori populisti.
Rosa Johanna Pintus