“There’s something wrong in Bartholomew” è un cortometraggio nato dalla collaborazione tra Luca Mancini e Ferdinando Lercari all’interno del Green Cinema Collective, un crocevia di giovani maestranze del cinema indipendente che, per la qualità dei progetti accolti, spesso a costo zero ma dirompenti, s’imporrà a breve tra le produzioni emergenti.
Il corto, girato da Ferdinando Lercari, è parte di una serie antologica scritta da Luca Mancini, The Garden of Earthly Delights, che fa riferimento all’opera di Bosh nota in Italia come “Il giardino delle delizie“; ma se il trittico del 1480 descrive in modo simbolico, attraverso l’interpretazione medievale, la storia dell’umanità, qui si pone l’accento sulla ricerca della psiche.
Obiettivo di Mancini è infatti offrire le storie di un unico autore allo sguardo e all’analisi di diversi registi; essi vengono lasciati liberi di interpretare ciò che viene suggerito, ma non chiarito, e che origina un dinamismo dialettico in cui l’ultima risposta è il messaggio che vi legge lo spettatore.
Una scelta, questa, coraggiosa e insolita per uno sceneggiatore: la sceneggiatura diviene canovaccio, i registi autori che trasformano la narrazione in potenza in cinema in atto.
In There’s something wrong in Bartholomew il regista Ferdinando Lercari attinge, forse inconsapevolmente, al linguaggio dei classici e trasporta sul grande schermo la tragedia attica: è davvero un caso che il set in cui è collocato l’ospedale psichiatrico sia il Teatro della Lavagnina di Sestri Levante?
A differenza del teatro greco, la verità non viene indagata attraverso la salda forza del lògos ma tramite il dionisiaco linguaggio di due sensi: la vista e l’udito; la fotografia di Nazar Fedunyk, i disegni di Filippo Maria Malerba, le musiche di Federico Tropiano, Schubert, Prokof’ev suggeriscono una dimensione interiore invisibile a colui che la indaga poiché le parole, intrappolate da Alice Tanda, tecnico del suono, paiono sassi aguzzi scagliati contro un vetro infrangibile: restano fuori dal mondo di Bartholomew come gocce di pioggia che battono su una finestra chiusa.
Bartholomew le vede ma non le sente e lo psichiatra si rivolge, con scarsi risultati, alla prossemica: prima si pone di fronte al bambino in modo severo e professionale, poi a fianco a lui nella speranza di ottenerne la fiducia e, infine, si allontana.
Dilaniato dall’impossibilità di avanzare in un’inchiesta che diviene sempre più personale, il dottor Powell si chiede chi sia Bartholomew:
uno spietato assassino o una vittima innocente?
Egli cerca una risposta che non trova fino a quando non gli viene manifestamente concessa.
Chi è Bartholomew?
Il regista ci risponde per iscritto con le parole di Jean-Paul Sartre che compaiono nel corto: profonde, dissacranti, prive di speranza.
Scritte, esse sì, come lògos: ero un bambino, cioè uno di quei mostri che gli adulti fabbricano coi loro rimpianti. Si attiene a queste indicazioni Rubio Boccone ,giovanissimo attore in grado di rendere parlante il silenzio e che rende le parole dette un segno di debolezza: appartengono agli adulti, quegli adulti che esigono spiegazioni per poter comprendere i chiaroscuri della vita, che lo tengono chiuso in un ospedale psichiatrico nel quale Bartholomew, fantasma di se stesso, diviene solo parte-ombra.
Bartholomew vorrebbe correre nei campi, non essere prigioniero in una zona priva di colore ove il grano viene sostituito dalla ferrovia che s’intravede dalla finestra; lo comunica con i suoi disegni ma gli adulti non parlano la lingua degli insetti. Lo spettatore la comprende invece perché è condotto nella mente di Bartholomew dalla macchina da presa, vero e proprio strumento di catarsi in luogo del coro della tragedia.
C’è catarsi per noi, ma solo dolore per il dottor Powell (Maurizio Bonanno), speranza per l’infermiera Evans (Leda Pastorelli), sorpresa per l’infermiere (Alberto Aimo). ILui, psichiatra, curioso e abile lettore delle oscurità umane, è sempre più esasperato: un Edipo che non vede e che diventa sempre più impotente di fronte al dramma che si aspetta ma non riesce a impedire. E Bartholomew lo osserva, come un ragno al centro della tela, così divertito da quel dottore che non ha neppure il desiderio di intrappolarlo: lui, l’osservato, osserva e Powell, che era osservatore, diviene l’osservato.
C’è qualcosa di sbagliato in Bartholomew, dice lo psichiatra all’infermiera dimenticando che a lui piace sentirli urlare.
A lui.
Lui chi?
Alessandra Giordano