Torino- Timido e scontroso ma deciso; si rivela a dosi, una delle interviste più difficili perché Giovari, Giovàri per la precisione, non è uno che parla o che scherza, è uno che scrive e musica versi, anche i miei, ed è così che i nostri destini si incrociano: in un film e come in un film.
Già, perché ci troviamo impegnati sullo stesso set, a lavorare come ossessi su un soggetto del regista Marco Bracco: lui con la musica e io con le parole. Lunghi incontri su Google meet all’ombra del Covid: città diverse, empatia impossibile attraverso uno schermo e tempi risicati per conoscerci.
Sulla musica, per esempio, abbiamo idee radicalmente diverse: io che amo rap e trap, lui che risponde con tracce melodiche perché, pur essendo giovane, non si riconosce nella musica gridata dalla maggior parte dei suoi colleghi e preferisce il fingerpicking, una tecnica che vuole le dita direttamente sulle corde della chitarra, senza il plettro:
La musica giovane non si riduce al rap, al trap, alla rabbia gridata in 4/4. Musica che proviene dal cemento ma che spesso non riesce ad andare oltre: i 4/4 possono accarezzare ed esprimere la protesta senza grida.
Giovari
Poi avviene il miracolo: Giovanni Arichetta musica e canta i versi che io ho scritto e quei versi diventano altro: “Ah! Ecco”, penso, “così arrivano a tutti.” E forse il rapporto tra un paroliere e un musicista è una sorta di danza latina in cui conduce chi possiede la chitarra.
Al di là del film, che racconteremo un’altra volta e al di là di me, Giovàri ha da poco terminato il singolo Senza Barriere: un brano melodico, già presente su Spotify.
L’intervista, come dicevo, procede a fatica: per deformazione professionale (sono una docente amante della maieutica) so che Giovari è più di ciò che racconta, che per capirlo occorre prima fare un viaggio dentro di lui e poi tradurre in linguaggio verbale ciò che lui è, e non so neppure se ne ho colto lo spirito. Decido allora di ascoltare le sue canzoni, di spiare il suo profilo Instagram, e lì sorride perché suona: non solo la chitarra ma anche il pianoforte.
La sua musica è fisica, sensuale e le sue canzoni rivelano l’immagine di un maschio sano, in grado di cavalcare la passione erotica con occhi d’amore, di piangere forse ma mai di insultare o uccidere la donna: un buon punto di partenza se si pensa che siamo passati dall'”Ehi, bambola” all'”Ehi, bitch”, che manco vuol dire puttana ma proprio cagna! Non dimentichiamocelo l’ospite di Sanremo osannato da Amadeus e non stupiamoci se l’Italia uccide le donne.
Gli chiedo quando si sia accorto della sua passione per la musica:
Dopo una delusione amorosa, chiuso in cameretta con la mia chitarra, ho scritto la mia prima canzone, più come uno sfogo, una sorta di liberazione, in realtà non per farne proprio una canzone. Ho però così trovato il modo per stare meglio e ho continuato a farlo perché ogni volta che ne sentivo la necessità i pensieri divenivano parole e poi strofe accompagnate e aiutate dalla musica di sottofondo.
Si tratta di una rivelazione sulla via di Damasco perché Giovari era combattuto da un’altra passione: quella per il calcio.
In poco tempo, incoraggiato dai suoi familiari, Giovari ha capito che ciò che scriveva e musicava era anche orecchiabile.
Così ho cominciato a studiare canto, a continuare gli studi di chitarra che già da anni avevo intrapreso. La necessità di sfogarsi ha fatto venir fuori tutto ciò. Una grandissima passione per la musica che pian pian sta diventando una professione.
Una gestualità forte e marcata è presente anche in questo artista poiché il bisogno di comunicare e di essere compresi è la linfa che nutre i performer; tuttavia in Giovari il gesto non riduce la musica a mera ancella e la voce diviene canto.
La rabbia si può esprimere a carezze, non necessariamente a pugni o attraverso kick ripetitivi, dissing e sintetizzatori. Ci vuole rispetto anche nella rabbia però…siamo nel 2020 dove la ricerca di un mondo senza barriere è all’ordine del giorno.
La musica, anche se non più da protagonista, tiene sempre il passo coi tempi ma spesso questo è un compromesso inaccettabile ed è meglio rallentare, riflettere, ponderare:
Ma non riesco a stare a tempo,
questo cuore è troppo lento.
Ghiaccio, Giovari
Gli chiedo in che senso la musica non sia più protagonista e perché la veda piuttosto come un accessorio.
In quest’era di consumismo si producono quintali di musica usa e getta e troppo spesso non contano le note ma l’outfit su cui poi l’artista guadagna. Se pur vi è qualcosa di buono, qualche verso geniale nei testi, questo viene spremuto fino alla fine e svuotato. Il ciclo vitale di queste canzoni è breve, diventano vecchie in un attimo, obsolete.
In effetti, i pezzi che hanno preceduto il XXI secolo sono tutt’ora hit:
Eravamo abituati ad ascoltare un pezzo anche per anni, ora basta un’estate per dimenticarlo. Non è però questa la natura dell’arte: nasce per rimanere, altrimenti non è arte.
Giovàri ha ragione: è arte ciò che rimane anche se è molto difficile essere stabili in una società liquida.
Rosa Johanna Pintus